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capitolo settimo | 429 |
già a Vienna o a Londra; . . . il popolo italiano magnanimo e generoso non vi caccierà mai innanzi il feroce sarcasmo: «io vi ho tradito, io vi ho posto in un imbarazzo da cui non potrete uscirne giammai»1.
Ma, nonostante tutti gli avvenimenti in questo capitolo narrati, nonostante la sfiducia e l’abbattimento prodotti dall’Allocuzione del 29 aprile, nonostante che l’incantesimo con cui Pio IX aveva tenuti ammaliati ed avvinti a sé i suoi sudditi fosse disfatto, continuavano pur tuttavia ad avere i loro effetti gli strascichi e le rimembranze di quell’incantesimo, e molte e molte migliaia di cittadini liberali a Roma non sapevano e non potevano indursi a considerare Pio IX come avverso alla causa nazionale e non sapevano ridursi a credere ai loro stessi occhi, alle loro stesse orecchie; e non sapevano e non volevano staccarsi dal Pontefice ammaliatore, fin li adorato, e preferivano far risalire tutta la colpa delle terribili parole dell’Allocuzione ai diplomatici esteri, ai Cardinali, ai sanfedisti, ai gesuiti, a tutti . . . fuori che a Pio IX. Per il che tornava, a quei giorni, a ripetersi da per tutto, nel circoli, nei caffè, in ogni politico ritrovo uno stornello di Francesco Dall’Ongaro, che aveva levato grande rumore sul finire del ’47 e sul principiar del ’48, il quale diceva cosi:
O senator del popolo romano, |
E, proprio allora, in quei tristi giorni in cui Pio IX dalla contraddizione era trascinato a palesarsi avverso al movimento nazionale italiano, lo stesso Dall’Ongaro usciva in questo stornello caratteristico, per cui il nome di Pio si distingue dalla persona già nicchiante, divenuta sospetta del Papa2:
Pio nono non è un nome e non è quello |
- ↑ Contemporaneo del 16 maggio, anno II, n. 58.
- ↑ Angelo De Gubernatis, F. Dall’Ongaro e il suo epistolario scelto, Firenze, tipografia Editrice, 1875, § II, pag. 19.