Pagina:Ciceruacchio e Don Pirlone.djvu/78

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capitolo secondo 71

non essere, legittima conseguenza di legittime premesse. Erano trent’anni che l’opinione pubblica italiana invocava un completo rinnovamento politico e civile: erano trentanni che gli Italiani cospiravano, insorgevano, combattevano con le armi, con la parola, con gli scritti per veder distrutto il trattato di Vienna, per veder sottratta la patria dalla dipendenza dell’Austria, per veder inaugurato un regime civile e liberale, per veder costituita la nazione ad unità; erano trentanni che a migliaia e a migliaia affrontavano prigionia, esigli, e impavidamente la morte sui patiboli per conseguir tutto ciò, ed era quindi logico e naturale che essi approfittassero della occasione, che tutto quello indefesso lavorio, che tutti quei sopportati sacrifizi avevano - predisponendo l'ambiente e l’opinione - preparata e fatta sorgere e che cercassero, senza provar nessuno degli scrupoli del commendator Spada, di raggiungere, con tutti i mezzi che erano a loro disposizione e che le circostanze loro offrivano, il fine vagheggiato, invocato, desideratissimo.

Ed è perciò che la prima manifestazione popolare di Roma fu spontanea, sincera, non provocata, non preordinata, appunto perchè il fatto che quella dimostrazione applaudiva e celebrava, era atteso da trent’anni, appunto perchè esso appariva alla opinione pubblica come quell’aurora dell’èra nuova che tutti aspettavano, la quale, tutti istintivamente sentivano che doveva, di necessità, sorgere. Appunto perchè quell’editto doveva sembrare alle moltitudini arra delle maggiori concessioni attese da tutti, il popolo, con il suo buon senso complessivo, con il suo complessivo istinto,! quali, precisamente perchè complessivi, non si ingannano mai, il popolo, che, quando è unanime nel vedere, nel sentire, nell’apprezzare un dato fatto storico, ha le intuizioni del genio, il popolo applaudi entusiasticamente all’amnistia, non tanto per ciò che quell’atto del Pontefice effettivamente era in sè, quanto per quel di più che esso, agli occhi e nella coscienza delle moltitudini, ascondeva in germe e in sè racchiudeva1.


  1. F. A. Gualterio, op. cit., vol. V, cap. III, pag. 53; G. La Farina, op. cit., vol. II, lib. III, cap. II, pag. 19; Carlo Rusconi, op. cit., Introduzione, pag. 4; Federico Torre, op. cit., lib. I, pag. 7; C. Belviglieri, op. cit., voi. II, lib. XII, pag. 284; E. Poggi, op. cit., vol. II, lib. V, cap. IV, pag. 419; C. Tivaroni, op. cit., vol. II, parte VII, cap. V, pag. 268.