Pagina:Collenuccio, Pandolfo – Operette morali, Poesie latine e volgari, 1929 – BEIC 1788337.djvu/188

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     e per lui pianger sempre: e da poi, quando

il precetto divin mi chiamerá,
allora ancor dolente e lacrimando,
     l’anima mia lá giú discenderá,
dove i nostri maggiori ancor son scesi,
e li il suo Ioseph, credo, troverá.
     Non sono, o Padre eterno, da no’ intesi
i toi santi misteri e sacramenti,
che in la tua Trinitá sono compresi;
     ma una sol grazia prego mi consenti,
che la pura alma del mio car figliolo
in loco posta sia che si contenti.
     Questo ti chiedo, Padre unico e solo,
per la santa promessa che facesti
a l’avo Abramo, che fu senza dòlo:
     per quel che al padre Isach tu promettesti,
per quella scala eccelsa, alta e mirabile,
che veder per tua grazia mi facesti.
     Eterno, magno Iddio, santo, ineffabile,
esaudí il servo tuo per tua bontate:
ti ricomando il mio Ioseph amabile.
     Voi, diletti figlioli, ormai ne andate:
io tornerò al mio solo esercizio,
nel mio secreto, in casa. A Dio voi siate!
Ruben.   Gran peccato per certo e gran flagizio
è stato il nostro, a dare in questa etade
al vecchio padre nostro tal supplizio!
     Credo che será breve in veritade
la vita sua, e noi cagion saremo
che mòra, o cada in qualche infirmitade.
     Se Dio non è clemente, anche no’ aremo
per questo gran peccato alcun flagello,
et indarno dappoi ci pentiremo.
Dan.   Ch’era da fare, in fin, caro fratello?
Tu conoscevi, e noi conoscevamo,
com’era di Ioseph il suo cervello.