Pagina:Collenuccio, Pandolfo – Operette morali, Poesie latine e volgari, 1929 – BEIC 1788337.djvu/268

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     Infili l’abbiam condutto a la tua Altezza,

la qual, quanto pel ver mio dir comprende,
del padre nostro intende la tristezza;
     ché la sua vita sol da costui pende,
e certo con dolore e con supplizio
il meschin morirá, se non glie ’l rende.
Ioseph.   Un ch’abbia a iudicar con ver iudizio,
quando ha a punire alcuno malfattore,
non deve aver rispetto a preiudizio
     ch’altrui ne senta alcun uman dolore;
ma dee. le leggi e quel che vói iustizia
sempre servar col debito rigore.
     Costui stará in prigion per la nequizia,
quale ha commesso, questo vói ragione:
s’io facessi altro, giá faria iniustizia.
     IUDA. Io sono il peccatore, e me in prigione
metti, signor: io son quel c’ha promesso
al padre rimenar questo garzone.
     Debitor del peccato c’ho commesso
serò sempre a mio padre, che a la fede
mia sola il giovinetto n’ha concesso.
     Contra me solo, contra me procede,
e lui co’ soi fratelli a casa torni,
ch’io non voglio tornar, se noi concede!
     Se caso avvien che senza lui ritorni,
a la calamitá serò presente
del padre mio, che finirá soi giorni.
Ioseph.   Non seria iusto, né conveniente
lassar quel c’ha peccato in libertade,
e dar pena o prigione a l’innocente!
     IUDA. Prego, signor, la tua benignitade,
in la qual sola sta nostra speranza,
commesso avendo tanta iniquitade,
     che non vogli guardar nostra ignoranza,
né vogli a’ nostri merti aver rispetto,
ma a la tua nobiltá, che ’l tutto avanza.