Pagina:Collenuccio, Pandolfo – Operette morali, Poesie latine e volgari, 1929 – BEIC 1788337.djvu/270

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     Che se la morte de l’altro fratello,

che Isepe si chiamò, ventitré anni
in pianti l’ha tenuto il poverello,
     quanti dolori, lacrime et affanni
credi ch’ara di questo suo diletto,
col pensar di noi diece ancora i danni?
     Lui è bon padre e pien di bono affetto,
iusto, modesto e pio: deh! non volere
che ’l sia punito, e nostro sia il difetto.
     A questo nome ’padre 3 vogli avere
alcun rispetto, che sei padre ancora,
e l’amor dei figlioli pòi sapere.
     Ancora tu i paterni affetti onora,
e dal tuo dolce cor l’altrui misura:
la tua virtude questo da te implora.
     Prego che ancora a questo ponghi cura:
che ’l far morir costui la vita toglie
al padre nostro e a noi, per morte oscura;
     e se lui salvi, tutti noi raccoglie
la sua salute. Or qual miglior pensiero
debia esser, prego che discorrer voglie:
     o perder tutti con l’esser severo,
o salvar tutti con l’esser clemente;
iudical tu, col tuo iudizio intero.
     Ti prego ancor, signor, che ponghi mente
a l’etá sua che è tenera e ancor fresca,
che quel che è bene o male ancor non sente.
     Del meschin giovinetto ora t’incresca,
abbi pietá de la sua fanciullezza,
che a miglior anni e a maggior cose cresca.
     Vedil prostrato in terra a la tua Altezza,
che con silenzio e lacrime dimanda
che vogli mitigar la tua durezza.
     Questo in summa ciascun di noi dimanda,
che se morir lo fai, fanne ancor noi
tutti morire: questo ognun dimanda.