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Detto fatto, i due avversari si ritrovarono insieme sopra una piazzetta deserta, uno di faccia all’altro.

— Attento! — disse Gigino al Biondo. — Allunga il braccio destro, e passa la mano sinistra dietro la schiena.

— Parli con me? Io per tua regola non ho tempo da perdere in tanti complimenti, e mi sbrigo subito. —

E senza aggiungere altre parole, caricò sulle spalle dell’avversario un carico di pugni, quanti potrebbe portarne un ciuchino.

Il nostro amico tornò a casa tutto indolenzito: e lungo la strada si consolava di tanto in tanto, dicendo fra sè:

— È vero che ne ho toccate! Ma quella lì non era scherma; quelli erano pugni. ―


V.


La cascata da cavallo.


Venuto il tempo delle vacanze, Gigino andò a passare due mesi in campagna insieme con la sua mamma.

Il babbo rimase in città, perchè essendo il tempo delle elezioni, e volendo riuscire eletto deputato alla Camera, aveva bisogno di girare dalla mattina alla sera come un fattorino della posta.

A poca distanza dalla villa del nostro amico c’era una casa colonica abitata dalla famigliola del contadino: vale a dire padre, madre e due ragazzetti.

Il maggiore di questi due ragazzi aveva forse la stessa età di Gigino, e si chiamava Cecco: il minore, era un bambinetto di quattr’anni appena.

— Come si chiama questo bimbo? — domandò Gigino alla mamma.