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per il quale i medici non abbiano saputo trovare ancora una medicina. Prova a farti un po’ di coraggio....

― Ho provato.

― E ora come ti par di stare?

― Peggio di prima.

― Ma qual’è la cagione di tutto questo spavento?

― Una gran disgrazia, babbo mio, sta per cascarmi addosso!

― E come fai a saperlo?

― Ho avuto, in pochi minuti, troppi indizi.... troppi segnali. Vi ricordate i miei stivaletti nuovi rimasti affogati nella mota? E il giubbettino e i calzoni fatti in pezzi da quel dispettosaccio di pruno? E la camicia di tela fina divenuta, tutt’a un tratto, di foglie di ortica? E quella brutta serpe, che or ora mi è scappata di mano? Eccola sempre lì, eccola sempre lì!... Guardatela!...

― Chi?

― La serpe.... ―

Il babbo di Pipì si voltò a guardare verso il punto indicato, e vide difatti in mezzo alla profonda oscurità della notte, una grossa serpe, che risplendeva tutta di vivissima luce rossa, come se fosse stata una serpe di cristallo, con in corpo un lampione acceso da tranvai.

La serpe, stando a collo ritto, teneva i suoi occhi fissi in quelli dello scimmiottino.

― Che cosa vuoi da me? ― gli domandò Pipì, facendosi un coraggio da leone.

― Vengo a portarti i saluti del signor Alfredo ― rispose la serpe.

― Povero signor Alfredo!... È forse partito per il suo viaggio?