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voci urlando più forte. ― Vogliamo saper il nome.... il nome.... il nome!...

― Volete proprio saperlo? ― disse allora Pipì. ― Mi dispiace di doverlo confessare in pubblico: ma l’unico che sia degno di essere eletto imperatore sono io!

― Viva Pipì! Viva il nostro imperatore! Viva l’imperatore di tutte le scimmie!... ― gridò quella immensa folla, entusiasmandosi e battendo le mani.

Fu portata subito in mezzo alla piazzetta una vecchia seggiola impagliata, che, veduta di dietro somigliava moltissimo a un trono imperiale: e Pipì vi si assise sopra con sussiego e maestà.

Intanto una numerosa fanfara musicale composta di cento cembali e di cento corni di bove, cominciò a sonare l’inno della incoronazione.

Quattro scimmiotti, vestiti da paggi, presentarono al nuovo imperatore un bel vassoio tessuto di giunchi, sul quale vedevasi la corona e lo scettro imperiale.

La corona era fatta di mele lazzarole infilate in un cerchietto di ferro: e lo scettro era una canna di zucchero bell’e candito.

Pipì prese la corona dal vassoio, e dopo averla con molta dignità annusata, se la pose in capo. Quindi afferrò lo scettro, e non potendo reggere alla tentazione, cominciò a succiarlo e a masticarlo; ma, per buona fortuna, uno scimmiotto, che era lì accanto e che faceva da cerimoniere, gli dette nel gomito per avvertirlo dell’atto sconveniente. Allora il nuovo imperatore smesse subito di succiare; e per rimediare allo scandalo dato, pensò bene di durare un quarto d’ora a leccarsi le dita.