Pagina:Colonna - Rime, 1760.djvu/117

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Io sono, io son ben dessa; or vedi come
   M’ ha cangiato il dolor fiero ed atroce,
   Ch’ a fatica la voce
   Può di me dar la conoscenza vera.
   Lassa, ch’ al tuo partir, partì veloce
   Dalle guancie, dagli occhi, e dalle chiome
   Questa, a cui davi nome
   Tu di beltate, ed io n’ andava altera,
   Che me ’l credea, poichè in tal pregio t’ era.
   Ch’ ella da me partisse allora, ed anco
   Non tornasse mai più, non mi dà noja,
   Poichè tu, a cui sol gioja
   Di lei dar intendea, mi venne manco,
   Non voglio, no, s’ anch’ io non vengo, dove
   Tu sei, che questo, od altro ben mi giove.

Come possibil è, quando sovviemme
   Del bel guardo soave ad ora ad ora,
   Che spento ha sì breve ora;
   Ond’ è quel dolce e lieto riso estinto,
   Che mille volte non sia morta, o muora?
   Perchè pensando all’ ostro, ed alle gemme,
   Ch’ avara tomba tiemme,
   Di ch’ era il viso Angelico distinto,
   Non scoppia il duro cor dal dolor cinto?
   Com’ è ch’ io viva, quando mi rimembra,
   Ch’ empio sepolcro, e invidiosa polve
   Contamina e dissolve
   Le delicate alabastrine membra?
   Dura condizion, che Morte è peggio,
   Patir di morte, e insieme viver deggio.