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SONETTO VI
Pende l’ alto Signor sul duro legno
Per le nostre empie colpe; e ’l tristo core
Non prende tal virtù da quel valore,
Che pender sol da lui diventi degno.
Con divine parole il bel disegno
Fece ei del viver vero; e poi colore
Gli diè col sangue: e che dell’ opra amore
Fusse cagion, ne dà se stesso in pegno.
Viva di fiamma l’ alma, e l’ intelletto
Di luci appaghi; e con questa, e con quella
Erga e rinforzi il purgato desire.
Vengano a mille in me calde quadrella
Dall’ aspre piaghe; ond’ io con vero effetto
Prenda vita immortal dal suo morire.
SONETTO VII
Da Dio mandata angelica mia scorta
Guida per dritto calle al ciel la mente;
E qualor l’ alma al suo cader consente,
Riprende il freno, e ’l piè lasso conforta:
Sicch’ alle nozze eterne non sia morta
Ogni mia luce; ma con lampa ardente
Chiamata dal Signor saggia, prudente,
Aperta al giunger mio trovi la porta.
E perchè ’l cor l’ aspetti a ciascun’ ora
Per girgli incontro lietamente armato
Di puro santo amor, di viva fede;
Poic’ hai di me la cura, ch’ ei ti crede,
Mostrami i segni; quasi interna aurora,
Del venir del mio Sol chiaro e beato.