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SONETTO XVI


QUando vedrò di questa mortal luce
   L’ occaso, e di quell’ altra eterna l’ orto;
   Sarà pur giunta al desiato porto
   L’ alma, cui speme ora fra via conduce:
E scorgerò quel raggio, che traluce
   Sin dal ciel nel mio cor, del cui conforto
   Vivo, con occhio più di questo accorto,
   Com’ arde, come pasce, e come luce.
Soave fia il morir per viver sempre;
   E chiuder gli occhi per aprirgli ognora
   In quel sì chiaro e lucido soggiorno:
Dolce il cangiar di queste varie tempre
   Col fermo stato. O quando fia l’ aurora
   Di così chiaro avventuroso giorno?


SONETTO XVII


Quando quell’ empio tradimento aperse
   Gesù contra se ordito al caro amato
   Discepol, che in sembiante sì turbato,
   Tacendo, quasi agli altri il discoverse;
Per me’ celarlo il bel grembo gli offerse;
   Ma pria che fusse il duolo oltrapassato
   Dal core, e ’l viso avesse anco bagnato,
   Il sonne chiuse gli occhi, e ’l duol coverse.
Ond’ ei cadde nel dolce letto, e volo
   Non fece augel giammai tant alto, quanto
   Volò, cadendo, allor l’ Aquila altera.
Alzata al cielo, ivi di sfera in sfera
   Le stelle tutte, e l’ uno e l’ altro polo
   Vide. O riposo glorioso e santo!