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SONETTO XX
Riverenza m’ affrena, e grande amore
Mi sprona spesso al glorioso effetto
Di dare albergo a Dio dentro ’l mio petto,
Gradito (sua mercede) a tanto onore:
Il giel delle mie colpe, e ’l vivo ardore
Suo verso noi, fan dubbio all’ intelletto;
Questo l’ accende, e quel spegne l’ affetto;
L’ uno alla speme va, l’ altro al timore.
Ma la fede fra i dubbi ardita e franca,
Chiede il cibo dell’ alma; onde si sforza
D’ accostarsi a quel Sol candida e bianca.
Perchè, mentr’ ella vive in questa scorza
Terrena, ha la virtù debile e stanca,
Se ’l nudrimento suo non la rinforza.
SONETTO XXI
Qui non è il loco umil, nè le pietose
Braccia della gran Madre, nè i Pastori,
Nè del pietoso Vecchio i dolci amori,
Nè l’Angeliche voci alte e gioiose;
Nè dei Re sapienti le pompose
Offerte, fatte con soavi ardori:
Ma ci sei tu, che te medesmo onori,
Signor, cagion di tutte l’altre cose.
So che quel vero, che nasceti, Dio
Sei qui, nè invidio altrui, ma ben pietade
Ho sol di me; non ch’io giungessi tardo:
Non è il tempo infelice, ma son’io
Misera, che per fede ancor non ardo,
Come essi per vederti in quella etade.