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SONETTO CLXVI
Veggio in mezzo del mondo oggi fulgente
Lampa, che sol per noi Se stessa offende,
Con dui fuochi, che a tuor ciascuno attende
Il nutrimento suo chiaro lucente:
L’un è l’amor del Padre, a cui il possente
Raggio la gloria in prima offesa rende;
L’altro è il zelo per noi, col quale accende
Contra di Sé la viva luce ardente.
Arsa da cotai fochi, la infinita
Sua virtù parve spenta allor che cinse
D’altri raggi più chiari il mondo intorno,
Ché, quando agli occhi umani Ella s’estinse,
Con l’immortal Sua gloriosa vita
Diede a’ Suoi eletti in Ciel perpetuo giorno.
SONETTO CLXVII
Non si può aver, credo io, speme vivace
De le promesse eterne se un timore,
Qual fredda nebbia intorno al nostro core,
S’oppon sovente a l’alta ardente face,
Né fede, per la cui luce in verace
Gioia si vive ed opra per amore,
Sentendo spesso un vii grave dolore
Che ne perturba ogni amorosa pace.
Queste umane virtù ti e voglie ed opre
Fanno simil a lor, che sono un’ombra
Che per varia cagion varia l’effetto;
Ma se lume del Ciel chiaro si scopre
Arma di fede e speme in modo il petto
Che dubbio, tema e duol da noi disgombra.