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SONETTO LXXX
Pria d’ esser giunta in mezzo della strada
Del nostro uman viaggio, il fin pavento,
Ma sì soave alla memoria sento
L’ entrata, che quest’ aspro ancor mi aggrada.
E se dal peso avvien, ch’ io pieghi, o cada,
Lume mi scorge tal, che non men pento,
Nè ’l desir, nè la forza unqua rallento,
Anzi dietro al splendor convien, ch’ io vada.
Seco vissi io felice, ei mi scoperse
I dubbj passi, ed or dal Ciel m’ insegna
Il sentier dritto coi vestigj chiari.
Ei mi mostrò il principio, e ’l fin m’ offerse
Della vera salute, ei farà degna
L’ alma, che là su goda, e qua giù impari.
SONETTO LXXXI
Qual sacro don giammai, qual voler pio,
Qual prego umil con pura fede offerto
Potrà mostrarsi uguale al vostro merto,
Signor, in parte, o almeno al pensier mio?
Vittima è il proprio core, il qual sempr’ io
Purgo col pianto, a voi nudo ed aperto
D’ intorno; e dentro poi cinto e coperto
Di fuoco acceso in fervido desio.
Fuggì la verde speme, e ’l secco legno
Dentro le fiamme si nodrisce in modo,
Che senza incenerirsi arde ad ognora.
M’ accorgo ben, che ’l sacrificio è indegno
A voi, Spirto divin, ma pur mi godo,
Che con quanto più può l’ alma v’ onora.