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c o m m e n t o |
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tumulto, Dissi: Maestro; a Virgilio, che è quel ch’io odo? E che gente ec.? Domanda se quella è gente: dubitava Dante, se quel tumulto che udiva, procedeva da gente, e però domanda: È quella gente? imperò che non comprendea che fosson voci, se non che poi ne fu certificato da Virgilio. che1 par nel duol sì vinta; cioè si stanca nel dolersi? Sopra questa parte doviamo notare che l’autore tratta del primo adito2 dell’inferno; cioè del primo spazio dentro dall’entrata, della divisione del quale dirò di sotto nel Canto iiii che comincia: Ruppemi l’alto sonno nella testa ec. Ma al presente doviamo sapere che l’autor finge che l’inferno abbia una porta per la quale s’entra, della quale fu detto di sopra, e che dentro della porta abbi uno spazio che va in giro e tiene dalla concavità della terra, che è come mura dell’inferno infino a uno fiume che è dopo questo spazio et ancor va in giro, che si chiama Acheron; e dentro dal fiume finge esser nove cerchi che l’uno è minor che l’altro infino al centro della terra, ove è il minor cerchio, di tutti di quali si dirà di sotto. Ora finge l’autore che in questo spazio allato alla crosta della terra, dentro dalla porta sieno puniti coloro, che sono vivuti in questo mondo sanza operare bene o male; e convenientemente li pone in questo luogo: imperò che costoro non si possono distintamente porre sotto alcune specie di peccato, e però non li dovea porre in alcuno de’ cerchi, ove sono distinte le specie de’ peccati come apparirà di sotto. E se volesse altri dire: Elli li dovea porre nel limbo; cioè nel primo circolo, si può rispondere che non era cosa convenevole: imperò che quelli di quel cerchio sono dannati quivi per lo peccato originale, e questi di tal peccato sono purgati per lo battesimo: imperò che l’autore intende che tutti costoro fossono cristiani. E non si può dire che li dovesse porre con li accidiosi; imperò che l’accidia dice solamente essere negligenzia intorno al bene; ma non dà ad intendere negligenzia intorno al male. Li accidiosi fanno ancora di grandissimi mali; ma costoro non fanno nè bene, nè male, se non che mangiano, e beono, e dormono secondo che è bisogno alla natura, e stannosi senza altro aoperare, e però questa fizione poetica è verisimile. Dubiterebbesi ancora da alcuno che sia impossibile che così fatti uomini si truovino che non facciano qualche cosa. A che si può rispondere che questi così fatti sono li vili d’animo e dubitosi, che discorrono di pensiero in pensiero, e mai non si diliberano di fare alcuna cosa; e se pure incominciano, incontanente la lasciano stare e vanno ad altro, e sempre d’altro in altro e così non fanno alcuna cosa. E convenientemente pone li loro dolori, questi; cioè sospiri, pianti, guai e alte voci, et in voci fioche, parole
- ↑ che è nel duol.
- ↑ C. M. del primo andito.