Pagina:Commedia - Inferno (Buti).djvu/304

Da Wikisource.
260 i n f e r n o   ix. [v. 61-63]

lezza di mente e questa è bestialità che viene per ignoranzia di legge; l’altra significa stupor di mente o vero amenzia e questa è bestialità che viene per infermità o mancamento di cerebro: imperò che Medusa è quella che fa l'uomo diventare pietra; cioè indurato e ostinato nel peccato, sicchè mai non ne può uscire. E però Virgilio ci piglia rimedio che innanzi ch’ella venga volge Dante; cioè la sensualità a dietro dal peccato, e falli porre le mani al viso; cioè ritornare a dietro dal vizio et occupare l’affetto e l’intelletto alle buone operazioni et ancor v’aggiugne le sue; cioè le contemplazioni della ragione. E questo intese l’autore nella detta fizione, e questo non basta ancora ad entrare nella città, basta bene a rimediare che il vizio non offenda; ma non basta a passarlo per andare alle virtù, mostrando la sua viltà e la sua pena; e però s’aspetta la grazia singulare di Dio arrecata dall’angelo, lo qual finge che vegna a fare aprire la porta di Dite; e qui finisce la prima lezione. Seguita la seconda lezione.
     E già venia; ec. Questa è la seconda lezione del canto sopra detto, la quale contiene l’entramento di Virgilio e di Dante nella città Dite; e dividesi questa in sei parti, perchè prima pone l’avvenimento dell’angelo; nella seconda, come ragguardò e vide molti segni del suo avvenimento, quivi: Li occhi mi sciolse; nella terza, come Virgilio ammaestra Dante che facesse reverenzia all'angelo e come aperse la porta, quivi: Ben m’accors’io 1; nella quarta pone come l’angelo, aperta la porta, riprende li demoni, quivi: O cacciati del Ciel; ec.; nella quinta, come Virgilio e Dante entrano nella città, quivi: Dentro v’entramo; nella sesta, come domanda Virgilio quello che vede, quivi: Et io: Maestro. Diviso lo testo, ora è da vedere la sentenzia litterale, che è questa.
     Poi che Virgilio ebbe chiuso Dante per paura di Medusa, Dante sentie su per l’onde torbide di Stige venire un fracasso d’un suon pien di spavento, che facea tremare amendu’ le sponde di Stige, sì come d'un vento impetuoso, che fiere la selva e schianta i rami et abbatte frondi e fiori, e vien dinanzi polveroso e superbo e fa fuggire le fiere e li pastori. Allora Virgilio li sciolse li occhi e disse che riguardasse su per la schiuma dell’acqua, ov’era più scuro fummo; et elli vide più di mille anime fuggir dinanzi a quello angiolo, che passava Stige con le piante asciutte al passo, come fanno le rane che fuggono tutte alla ripa dinanzi alla biscia, che è lor nimica. E dice che quello angelo si rimovea dal volto quell’aria grassa con la man sinistra, e parea lasso di quella angoscia; e dice che ben s’accorse ch’era messo dal cielo; ma non di meno elli si volse a Virgilio, et elli li fe

  1. Altrimenti - Dal volto rimovea ec.; nella quarta