Pagina:Commedia - Inferno (Buti).djvu/402

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358 i n f e r n o   xiii. [v. 55-178]

fuori della testa, e però l’autor finge che sia in questo girone. Ora seguita la fizione dell’autore ch’elli manifesti la sua caduta dalla prosperità in ch’elli era, dicendo: La meretrice; cioè la invidia che mai dall’ospizio; cioè dal palazzo et abitazione, Di Cesare; cioè dello imperadore, non torse li occhi putti; quasi dica: Mai non fu che non fosse portato invidia a chi è grande nella corte dello imperadore; e parla sotto figura, chiamando la invidia meretrice: imperò che come la meretrice si muove per prezzo a compiacere l’uomo; così la invidia nasce del bene altrui, onde si dice: Sola miseria caret invidia-: e come la meretrice guarda l’uomo con li occhi putti per sottraere 1 così lo invidioso ragguarda il bene altrui per sottrarne. Morte comune, e delle corti vizio. Questo dice perchè comunemente in tutte le corti de’ signori è invidia, et è guastamento e corrompimento delle corti, come la morte dell’animale. Infiammò contra me; Piero questa invidia, li animi tutti; de’ cortigiani d’ira et odio contra me, E l’infiammati infiammar sì Augusto; cioè lo imperadore a ira et odio contra me, apponendomi falsità et avverandola con lettere false per sì fatto modo, che il feciono credere allo imperadore, Che i lieti onor; i quali io avea d’essere cancelliere et essere secretario et avere ogni grazia ch’io volea, tornaro in tristi lutti; cioè pianti e miserie: imperò che fu’ imprigionato et abbacinato. L’animo mio per disdegnoso gusto; qui narra la sua morte, dicendo, che l’animo; cioè il suo giudizio della ragione accecato dall’ira mossa, perchè indegnamente avea ricevuta quella pena, e però dice: L’animo mio; mosso, s’intende, a turbazione, per disdegnoso gusto; cioè per la pena assaggiata che non la mertava, o per alcuna parola contumeliosa che udì dire contra sè, come appar di sopra, Credendo col morir fuggir disdegno; cioè quella turbazione e dolore 2 ch’avea preso, vedendosi sostenere pena indegnamente e schernire, Ingiusto fece me contra me giusto; cioè fece me, ch’era giusto et innocente, incrudelire contra me medesimo, ch’era giusto quanto al peccato che mi fu apposto dandomi morte; e per questo diventai ingiusto e meritai di venire a questa pena solamente per la desperazione. Per le nuove radici; qui si scusa Piero dell’infamia che li fu data e della colpa apposta a lui, dicendo con giuramento che non fu vero, e però dice: Vi giuro; a te Virgilio et a te Dante, amendue insieme: imperò ch’elli parlava con Virgilio, et alcuna volta scendea lo sermone a Dante, come appar di sopra, quando dice: E il tronco: Sì col dolce dir mi adeschi, Ch’io non posso tacere; e voi non gravi, ec. Per le nuove radici d’esto legno: cioè di questa pianta, in che io anima sono posta

  1. C. M. sottragire
  2. C. M. turbazione e disdegno che avea preso per sostenere