Pagina:Commedia - Inferno (Buti).djvu/448

Da Wikisource.
404 i n f e r n o   xv. [v. 13-24]

così per opposito, passato spazio d’ore sei, e però usano li legni che sieno abili a quelle mutazioni. Aggiugne l’altra similitudine, dicendo: E quale; schermo, s’intende; cioè difensione, i Padovan; cioè quelli di Padova, che è una città di Lombardia, lungo la Brenta; che è uno fiume, che va per lo loro terreno, Per difender lor ville e lor castelli; che allagherebbono, se non avessono buoni argini, alti e grossi, Anzi che Chiarentana il caldo senta; Chiarentana è una montagna di sopra a Padova la quale di verno sta coperta di neve; quando viene lo caldo ovvero la state si struggono le nevi, come è da giugno in là, et allora comincia a sentire il caldo, che infino a quel tempo non l’à potuto sentire per la neve che v’è stata suso, e per le nevi risolute ricresce sì allora la Brenta, che allagherebbe le ville e le castella, se non fossono fatti buoni argini al fiume da ogni lato; A tale imagin; cioè similitudine, eran fatti quelli; dell’inferno al lato al detto fiume, Tutto che; cioè benchè, nè sì alti, nè sì grossi; come quelli di Padova e di Fiandra. Qual che si fosse lo maestro; cioè qualunque fosse colui che li fe, che fu Idio, come appare nella scrittura, che finge essere al sommo della porta, cap. iii ove dice: Fecemi la Divina Potestate-, felli; cioè non li fece questo maestro sì alti, nè sì grossi.

C. XV — v. 13-24. In questi quattro ternari l’autor nostro finge che, andando elli e Virgilio su per uno argine del detto fiume, scontrarono 1 una schiera d’anime, e come fu da una conosciuto, dicendo così: Già eravam; Virgilio et io Dante, dalla selva; onde eravam partiti, rimossi Tanto, che; cioè io Dante, non avrei visto dov’era; quella selva onde eravam partiti, Perch’io indietro rivolto mi fossi; per veder la selva, Quando incontrammo; Virgilio et io Dante, d’anime una schiera, Che venia lungo; cioè allato a l’argine; su per lo quale andavamo, e ciascuna; di quelle anime, Ci riguardava; cioè Virgilio e me Dante, come suol da sera Guardar l’un l’altro; delli uomini, sotto nova luna; cioè quando la luna è fatta nuova, che non à ancora lume, perchè è ancor sotto il sole; E sì ver noi; cioè Virgilio e me Dante, aguzzavan le ciglia; delli loro occhi per conoscerci e vederci meglio, Come il vecchio sartor fa nella cruna; dell’ago, che aguzza e leva in su le ciglia delli occhi, per veder meglio la cruna dell’ago. Così adocchiato; io Dante, da cotal famiglia; quale è detta di sopra, Fu’ conosciuto; io Dante, da una; di quell’anime, che mi prese Per lo lembo; cioè per l’estremo del mantello, e gridò: Qual maraviglia; è questa ch’io ti veggio qui, Dante vivo, ove non sogliono essere se non li morti?
     C. XV. — v. 25-33. In questi tre ternari finge l’autore come riconobbe quell’anima, ch’avea conosciuto 2 a lui e nominala, dicendo:

  1. C. M. scontrò una
  2. C. M. avea ricognosciuto lui