Pagina:Commedia - Inferno (Buti).djvu/705

Da Wikisource.

c a n t o    xxvi. 661

19Allor mi dolsi, et ora mi ridoglio,
      Quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi,
      E più lo ingegno affreno ch’io non soglio,
22Perchè non corra, che virtù noi guidi;
      Sì che, se stella buona, o miglior cosa
      M’à dato il ben, ch’io stesso noi m'invidi.1
25Quante il villan ch’al poggio si riposa,2
      Nel tempo che colui che il mondo schiara,
      La faccia sua a noi tien meno ascosa,
28Come la mosca cede alla zenzara,3
      Vede lucciole giù per la vallea,
      Forse colà dove vendemmia et ara;
31Di tante fiamme tutta risplendea
      L’ottava bolgia, sì com’io m’accorsi,
      Tosto ch’io fui dove il fondo parea.
34E qual colui, che si vengiò con li orsi,
      Vide il carro d’Elia al dipartire,
      Quando i cavalli al Cielo erti levorsi,4
37Che noi potea sì con li occhi seguire,
      Ch’ei vedesse altro che la fiamma sola,
      Sì come nuvoletta in su salire;
40Tal si movea ciascuna per la gola
      Del fosso, che nessuna mostra il furto,
      Et ogni fiamma un peccator invola.
43Io stava sopra il ponte a veder surto
      Sì che, s'io non avessi un ronchion preso,5
      Caduto sarei giù sanza esser urto.6

  1. v. 24. C. M. il bene io stesso non m’invidi,
  2. v. 25. C. M. Quando il villan
  3. v. 28. C. M. cade
  4. v. 36. Levorsi; sincope di levorosi, si levoro. E.
  5. v. 44. C. M. avesse un rocchion preso,
  6. v. 45. Urto; sincope di urtato, come cerco, trovo, tramonto e simili in cambio di cercato, trovato, tramontato. E.