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692 | i n f e r n o xxvii. | [v. 1-15] |
Monte Feltro onde esce il Tevero di Roma. E dice l’autore ch’elli stava attento e chinato, per intendere; e Virgilio lo sottoccò e disse: Parla tu, Dante: questi è latino. E Dante, che dice ch’avea già pronta la risposta, incontanente cominciò a rispondere in questa forma: O anima, che se’ nascosta la giù, Romagna tua non è, nè fu mai sanza guerra, quanto al cuore de’suoi tiranni; ma manifestamente 1 nessuna guerra vi lasciai ora; e dirotti delle sue condizioni. Ravenna sta come è stata molti anni, quelli da Polenta la signoreggiano, et ancora quell’altra città che si chiama Cervia. Forli è sotto li Ordelaffi, quelli da Verrucchio signoreggiano quivi, ove sogliono; cioè a Rimino, e questi erano i Malatesti. Lamone e Santerno sono due fiumi, per li quali s’intende Faenza et Imola, e sono sotto la signoria di Mainardo 2 da Susinana; e Cesena, che à allato uno fiume che si chiama Savio, vive a comune. Ma io ti priego che mi dichiari chi tu se’, ch’io ò dichiarato te non essere più duro a me, ch’io sia stato a te, se vuoi che il nome tuo sia publicato nel mondo. Onde la fiamma cominciò a parlare, e disse: Se io credessi parlare a persona che tornasse di là, io tacerei; ma perchè mai di qui non tornò alcuno vivo su, se io odo il vero, però sanza paura d’infamia ti rispondo. E qui finisce la sentenzia testuale: ora è da vedere la lettera con l’esposizioni.
C. XXVII — v. 1-6. In questi due ternari l’autor nostro passa dalle cose dette a quelle, che sono da dire, dicendo: Già era dritta in su la fiamma; cioè d’Ulisse ch’avea parlato, e queta Per non dir più: imperò ch’avea compiuto la sua narrazione, e già da noi sen gia; cioè da noi si partia, Con la licenzia del dolce Poeta: imperò che Virgilio già l’avea licenziata, dicendo, come si dirà di sotto; Quando un’altra; cioè fiamma, che dietro a lei venia; cioè a quella che è detta di sopra, Ne fece volger li occhi; cioè nostri, alla sua cima; cioè alla punta della fiamma, Per un confuso suon che fuor n’uscia; ecco la cagione perchè volgemmo li occhi, dice Dante; cioè per lo confuso suono che n’uscie fuori.
C. XXVII — v. 7-15. In quésti tre ternari pone l’autore nostro una comperazione, et adattala al suo proposito, dicendo così: Come il bue. Qui è da sapere che Fallari 3 di Gergenti di Cicilia, tiranno crudelissimo, signoreggiò alcun tempo Sicilia, e fu di tanta crudeltà, che molti tormenti trovò di sua invenzione a tormentare li uomini; li quali tormenti prima non erano saputi. Onde essendo in Cicilia uno nominato Perillo, orafo più crudele di lui, pensò per venirli in grazia di trovare uno tormento crudelissimo di nuovo, e