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c a n t o xxvii. | 691 |
133Noi passammo oltre, et io e il Duca mio
Su per lo scoglio insino in su l’altro arco,
Che cuopre il fosso, in che si paga il fio
136A quei, che scommettendo acquistan carco.
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C O M M E N T O
Già era dritta ec. In questo canto xxvii l’autor nostro tratta
ancora de’fraudulenti consiglieri; e dividesi principalmente in due
parti: imperò che prima dimostra come, passata la fiamma d’Ulisse
e di Diomede, ne venne un’altra; cioè quella del conte Guido da
Monte Feltro, et inducesi a parlar con essa; nella seconda induce
quella a dir chi era, e per che cagione era dannato a così fatta pena;
et incominciasi la seconda parte, quivi: Io fui uom d’arme, ec. E la
prima, che sarà la prima lezione, si divide in sei parti, perchè prima
pone lo dipartimento della detta fiamma d’Ulisse e Diomede, et appresso soggiugne l’avvenimento dell’altra; nella seconda parte pone
una comparazione, et induce a parlare l’anima che finge che fosse
nella detta fiamma, quivi: Come il bue cicilian, ec.; nella terza pone
quel che disse quell’ anima ch’era in quella fiamma, e di quel che
domandò, quivi: Ma poscia ch’ebber ec.; nella quarta dimostra la
risposta ch’elli fece, quivi: Io era giuso ec.; nella quinta pone Dante
com’elli priega quell’anima che se li manifesti, quivi: Ora chi se’ ec.; nella sesta pone la risposta generale, che fece prima quell’anima, quivi: S’io credessi, ec. Divisa adunque la lezione, ora è
da vedere la sentenzia del testo la quale è questa.
Poi che Ulisse ebbe narrato la sua sommersione, la fiamma si
levò ritta in su e stette cheta per non dir più, et andavasene licenziata da Virgilio, quando un’altra, che li venia dietro, fece volgere li
occhi nostri alla sua cima per uno confuso suono che quindi uscia;
e fa una similitudine che così mugghiava, come mugghiò lo bue del
rame in Sicilia, quando vi fu rinchiuso colui che l’avea. trovato; e
poi uscirono dalla fiamma le parole, dimenandosi la punta della
fiamma, come si mena la lingua quando parla, e disse: O tu, che parlavi mo lombardo, a te dirizzo la mia voce: perch’io sia giunto un
poco tardo, non t’incresca di restarti a parlar con meco: vedi che
non incresce a me che ardo. Se tu se’ ora caduto in questo inferno
d’Italia ond’io sono disceso qui, per le colpe quivi commesse per
me, dimmi, se i Romagniuoli ànno pace o guerra, ch’io fui da