Pagina:Commedia - Inferno (Buti).djvu/741

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[v. 66-136] c o m m e n t o 697

Io fui ec. Questa è la seconda lezione del canto xxvii, nella quale l’autore nostro pone la narrazione della risposta, che finge che facesse il conte Guido da Monte Feltro alla sua dimanda; e dividesi questa lezione in cinque parti: imperò che prima finge l’autore che il conte Guido narri la sua colpa e la sua conversione; nella seconda, la cagione della sua ruina, quivi: Ma il Principe ec.; nella terza, la sua ruina, quivi: Allor mi pinser ec.; nella quarta, la sua dannazion, quivi: Francesco venne ec.; nella quinta pone lo dipartimento dell’anima sopraddetta, e com’elli e Virgilio passarono in su la nona bolgia, quivi: Quand’elli ebbe ec. Divisa adunque la lezione, ora è da vedere la sentenzia litterale la quale è questa.

     Finge l’autore che, poi che il conte Guido ebbe detto che elli risponderebbe sanza paura d’infamia, perchè non si credea parlare a persona che mai tornasse al mondo, narrò in questa forma la sua condizione: Io fui uomo armigero nel mondo in prima, e poi fui frate minore per far penitenzia di miei peccati: e veramente mi sarebbe giovato, se non fosse il Papa che mi rimise nelle prime colpe; e dirotti come. Mentre ch’io fui al mondo col corpo, l’opere mie furono fraudulenti, e seppi tutti li argomenti e le vie coperte, et usaile, sì che al fine della terra andò la mia fama; e quando mi vidi invecchiato, mi cominciò a dispiacere tal vita, e confessatomi e pentutomi, mi diedi alla religione di san Francesco; e ben mi sarebbe giovato, se non fosse che papa Bonifazio, avendo guerra coi Colonnesi di Roma, non guardando nè a sè, nè a me, mi domandò consiglio com’elli potesse disfare i detti Colonnesi; et io a tale domanda non risposi perchè mi parve piena di grande retà 1 e malvagitade, ond’elli vedendomi star cheto, disse: Non aver sospetto: tu sai ch’io posso aprire lo cielo e serrare: imperò ch’io ò le chiavi che il nostro Signore Idio diede a san Piero, le quali non ebbe care il mio antecessore: in fin da ora t’assolvo d’ogni colpa; e tu m’insegna come io possa disfare Penestrino. Allora io, vinto da così fatti argomenti, li diedi lo consiglio che promettesse assai et attenesse poco, e verrebbe alla sua intenzione; e per questo frodolento consiglio io sono dannato alla pena che vedi: imperò che, quand’io fu’ morto, san Francesco venne per me per menarmene a vita eterna e beata; ma uno demonio si contrapose e m’impacciò, dicendo a san Francesco: Non ne lo portare, non mi far torto; elli deve essere de’ miei: imperò che diede lo frodolente consiglio, dal quale in qua io li sono stato sempre d’intorno: imperò che quella assoluzione non valse, che non si può assolvere chi non si pente, nè pentere può stare insieme col volere peccare: imperò che le contradizione 2 non possono insieme essere vere; e detto

  1. C. M. di grande riezza, und’elli
  2. C. M. le contradittorie non possano