Pagina:Commedia - Inferno (Buti).djvu/789

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pi ec. Divisa la lezione, ora è da vedere la sentenzia litterale la quale è questa.

Poi che l’autore à detto in somma che quelli della x bolgia ànno questa pena, che sono malati di diverse infermità, dichiara ora spezialmente la lor pena, dicendo che giaceano l’uno sopra il ventre dell’altro, e l’altro sopra le spalle dell’altro; e quale andava carpone per quella fossa, come fanno li gravemente malati che non si possono levare in piè. E dice che, andando sanza parlare, guardando et ascoltando quelli ammalati che non si poteano in su le lor persone, vide due levati a sedere che non si poteano reggere, se non che l’uno s’appoggiava all’altro, come fa testo a testo quando si pongono sopra lo fuoco a scaldare; e questi come lebbrosi si grattavano rabbiosamente sì, che faceano cadere la scabbia come le squame del pesce quando vi si frega il coltello; onde Virgilio domandò uno di loro, se alcuno latino era quivi tra loro, e il peccatore rispose di sè e d’altri, e domandò lui chi elli era. Allora Virgilio li disse che era uno che discendea, per mostrare l’inferno a quel vivo ch’era con lui; allora costoro et altri ch’udirono questo, si volsono presso Virgilio; e Virgilio allora s’accostò a Dante, dicendo che domandasse ciò che volea; e Dante li domandò chi elli erano, pregandoli che il dovesson dire. Allora rispose uno di quelli ch’egli era d’Arezzo1, e che Albero da Siena lo fece ardere per incantatore e malioso, e già per questo non n’èra elli condannato nella x bolgia; ma per falsificare l’alchimmia ch’avea usata nel mondo; e la cagione perchè lo fece ardere fu questa, che dicendo un di’ a giuoco con questo Albero: Io saprei farmi portare per l’aere volando, questo Albero volle ch’io gliele insegnassi, e perch’io non gliele insegnai mi fece ardere al vescovo di Siena del quale questo Albero era figliuolo. Allora Dante udendo questo, domandò Virgilio se mai fu gente vana quanto la sanese; e rispondendo a sè medesimo, dice che non la francesca, che sono gente vana, non sono ancora tanto vani, quanto li Sanesi a gran fatto. E per questo rispose l’altro lebroso al detto di Dante: Cavane lo Stricca che seppe fare le temperate spese, e Nicolò che trovò la ricca costuma del gherofano in Siena, e la brigata spendereccia in che Caccia d’Asciano consumò tutte le sue possessioni, e l’Abbagliato mostrò ben suo senno. E perchè sappi ch’io sono che t’ò risposto, guardami bene e vedrai ch’i’ sono l’ombra di Capocchio, che falsai i metalli con l’alchimmia: se io ben ti riconosco, dice costui, tu Dante ti dei ricordare ch’io fui da natura buona scimmia. E qui finisce il canto, et ora è da vedere lo testo con l’esposizioni.

  1. C. M. d’Arezzo Albizo, o vero Albaro da Siena