Pagina:Commedia - Inferno (Lana).djvu/301

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XVII.



In questo capitolo intende l’autore trattare della forma della fiera che li apparve in spezie di fraudoleuzia: poi in quel mezzo di tempo che ’l Duca stette a parlare colla detta fiera, tratta delli usurarii, li quali elli punisce in la fine del settimo circolo con fiamme di fuoco e di vapori fetidi e puzzolenti, li quali escono del fondo dello abisso: poi seguendo lo suo poesi, siccome appar nel testo, montonno adosso al ditto animale, ed elli li portò nell’ottavo circolo dell’inferno, il quale è partito in bolgie, com’è detto; introduce alcune favole poetiche, e così si compie lo predetto capitolo.

Circa la quale intenzione è da notare due cose: la prima è da demostrare come e in che modo l’usura è peccato; la seconda è a mostrare come la fraude è peccato perpensato. Ed in per quello che il fraudolente provede inanzi ch’elli reduca ad atto la sua malizia, apparirebbe che fosse sottoposta a provedenza che è virtude. Alla prima cosa è da sapere che molte cose sono nel mondo, le quali l’usanza di quelle è la sua consumazione, cioè lo suo consumamento, e di queste non si può partire l’usanza d’esse dalla sua proprietà, over dominio, sicome lo vino, lo frumento, lo cacio, le ova e tutte le vittuarie: che s’io presto una corba di vino ad uno ed elli la beve, l’usanza e la proprietà è andata; similemente del frumento e d’altre vittuarie che siano mangiate.

Altre cose sono che l’usanza di quelle non è suo consumamento, sicome sono le case e li navili, e l’argentiera e simili cose, le quali s’adovrano e fanno utilità alla persona a chi ell’è prestata, e perchè quel cotale la usi non la consumi perciò. E di queste cotali cose è ben partito lo dominio dall’usanza, o vuoli signoria; ora è così che di quelle cose, unde io non ho a fare, io non posso licitamente domandare cotale parte. E però s’io presto una corba di vino di frumento ad altri, con ciò sia cosa che il dominio e l’uso sieno insieme congiunti ed inseparabili, non posso licitamente domandare altro che il numero ch’io ho prestato, in per ciò ch’io domandassi o per uso o per sè o per proprietà. Per sè, l’una di queste domande sarebbe d’avanzo; per consequens illicita; ma s’io presto l’uso d’una cosa o d’uno navilio, o d’una argentiera, delle quali cose mi rimane lo dominio, posso licitamente domandare lo numero del dominio, e quello dell’uso; sicome fitto della casa, overo della nave, e pigione della argenteria. Vedute le quali cose resta di vedere se della pecunia prestata si può dimandar merito per una o due cagioni; e sicome dice Ari