Pagina:Commedia - Inferno (Lana).djvu/369

Da Wikisource.

INFERNO. — Canto XXII. Verso 16 a 18 365

Pure alla pegola era la mia intesa,
     Per veder della bolgia ogni contegno,
     E della gente ch’entro v’era incesa.




stanno in tremito di non essere assagliti , e per consequens si spaziano ed è tra loro grande caccia e aviluppamento. Or dice l’autore: io fui già in tal mossa di campo.

V. 2. Qui vuole mostrare che vide già incominciare stormo. Stormo è quando alcuna gente è ad assedio ad alcuno castello over fortezza, e propogne di fare suo podere a quelli dentro per superclhiarli e vincerli. E usasi di darli la battaglia da più lati con grande romore e con grandi gridi, per spaurire quelli di dentro; e anche questo tumulto sta in sua memoria.

3. Ancora ha veduto partire oste d’alcuno luogo. Circa la qual partita per scampare è da sapere, quand’ella occorre non vi si osserva alcuno ordine, ma tutti chi meglio meglio la leva, e li suoi arnesi non ne vanno molto destramente, e molti ne rimangnono ancora.

4. Ancora hae lo romore che aviene nella terre rotte, il quale è: quando una terra è rotta corrono alcuni contadini a cavallo armati, e talora forestieri per la terra, e uccideno se truovano alcuno suo nemico, rubano e vanno gridando viva e moia, secondo lor essere. Nelle quali cose molto romore è tra le persone, chi lamentandosi, chi fuggendo, chi sgridando, e chi incalzando altri, od è molto spauroso mugito, e non lo può bene comprendere chi non v’è stato; e però dice l’autore: corridor vidi.

5. Qui esclama contro li aretini, perchè al tempo che i guelfi furono cacciati di Firenze, li ghibellini collo suo aiutorio, ch’erano li aretini, correano la città di Firenze per lo ditto modo. E soggiunge che di loro andavan per la terra gualdane, cioè compagnie rubando e uccidendo i guelfi.

6. Ancor hae in fantasia lo trombare, lo romore, e lo sgrido che fa l’uno cavalieri con l’altro quando sono a far torneo, e similemente quando fanno giostre.

7. Or dice nel testo poich’ha detto delle mosse di quelli stormenti, che a ciò s’usavano, cioè a trombe, in mutar campo e in levarlo, campane in convocare popolo e in stormire quando si ruba, con tamburri in torneamenti e giostre, e anche cenamelle.

8. Cioè segni di castelli come di die bandiere bianche, nere, rosse etc., o con funi, e s’elli è di notte con fuochi.

9. Cioè con usate cose, come messi e spie; e con istrane, cioè con insegne e bandiere.

10. Qui fa comparazione della mossa predetta a tutte le altre che si fanno nel mondo che alcuna non li pare così strania a dire, che li raccogliea pedegiando; e soggiunge: nè eziandio navilio vidi partire nè di porto, dove si vede terra, nè di pelago, dove fanno suo viaggio a segno di mare, o di stella cioè di tramontana.

13. Segue lo suo poema, e palesa la condizion di quella compagnia in quanto dice: fera, e poi adesso fa digressione, e dice che