Pagina:Commedia - Inferno (Lana).djvu/407

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XXV.



Poich’ha compiuto lo testo del precedente capitolo, qui comincia lo XXV capitolo, in lo quale nel principio elli seguendo dice del modo che tenneno li serpenti con lo ditto Vanni. Poi poetando dice della pena delle altre due condizioni, sicome nel preambolo del precedente capitolo è fatto distinzione, e dura tale trattato fino a mezzo del seguente capitolo, come apparirà nella esposizione di quello.

Al fine delle sue parole il ladro
     Le mani alzò con ambeduo le fiche,
     Gridando: Togli, Dio, che a te le squadro.
Da indi in qua mi fur le serpi amiche.
     Perch’una gli s’avvolse allora al collo, 5
     Come dicesse: I non vo’ che più diche:
Ed un’altra alle braccia, e rilegollo
     Ribadendo sè stessa sì dinanzi,
     Che non potea con esse dare un crollo.
Ah Pistoia, Pistoia, che non stanzi 10
     D’incenerarti, si che piìi non duri,
     Poi che in mal far lo seme tuo avanzi.
Per tutti i cerchi dello inferno oscuri
     Non vidi Spirto in Dio tanto superbo,1


  1. V. 14. Prendo con Witte la lezione del Cass. del Laur XL, 7, e della Vind. perchè più gramaticale; anche per fuggire quel dindì, che fa pessimo suono ad orecchie che non sian quelle degli editori pel Batelli, Fir. 1839 e di Br. Bianchi.




V. 1. Dice che contato Vanni tal profezia, irato e turbato in cospetto di Dio li diede le fiche. 4. Quasi a dire ch’elli ha pene conseguenti bene a tal peccato.

10. Esclama contra Pistoia mostrando ad essa ch’ella non stanza, cioè ordina, d’ardersi se stessa, da poi che suoi cittadini sono così pessima semente.

13. Qui fa comparazione che in tutto l’inferno fino a questa settima bolgia non vide così superbo spirito.