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INFERNO. — Canto XXV. Verso 144 a 151 413


     La novità, se fior la penna abborra.
E avvegnacchè gli ocelli miei confusi 145
     Fossero alquanto, e l’animo smagato,
     Non poter quei fuggirsi tanto chiusi,
Ch’io non scorgessi ben Puccio Sciancato :
     Ed era quei che sol, de’ tre compagni
     Che venner prima, non era mutato: 150
L’altro era quel che tu, Gaville, piagni.




V. 144. Quasi li occhi a tanta novità riceveano confusione, e l’animo smarrimento, ma non tanto ch’io non conoscessi lo terzo ch’era Puccio Sciancato, il quale fine a questo punto non era ancora trasmutato in alcuna fiera, e però dice: ed era quello, quasi a dire: io lo cognoscetti e figurai.

150. Gaville è uno castello nel contado di Firenze: or avenne che passando per quelle contrade lo predetto messer Francesco Cavalcanti di Firenze,1ed avendo odio verso quelli di quello luogo, elli trasseno a lui, e sì l’anciseno; per la qual morte tutti i Cavalcanti hanno odio a tutti li Gavillesi, cioè quei di quello luogo, e funne morti infiniti, ed ancora non è stagnata tale onta. E però l’autore lo mette in presente, e dice: l’altro è quello che tu, Gaville, cioè che tu, abitazion, piangi, quasi a dire: continuo dal tuo popolo è offeso per la morte di questo ch’io vidi, che fu messer Francesco Cavalcanti.

E qui finisce la sentenzia del presente capitolo.

  1. Il Commento l’Ottimo chiama questo Cavalcante, messer Guelfo, ma l’errore è del copista, il quale dovea leggere Guercio, perchè era Francesco Guercio Cavalcanti, com’era l’altro de’Galiguri. (Comm. P. e J. Allighieri).