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INFERNO. — Canto XXX. Verso 40 a 58 469

Questa a peccar con esso così venne, 40
     Falsificando sé in altrui forma,
     Come l’altro, che in là sen va, sostenne,1
Per guadagnar la donna della torma.
     Falsificare in sè Buoso Donati,
     Testando, e dando al testamento norma. 45
E poi che i duo rabbiosi fur passati,
     Sovra i quali io avea l’occhio tenuto,
     Volsimi a guardar gli altri mal nati;2
E vidi un fatto a guisa di liuto, *
     Pur ch’egli avesse avuta l’anguinaia 50
     Tronca dal lato, che l’uomo ha forcuto.
La grave idropisìa che sì dispaia
     Le membra con l’umor che mal converte,
     Che il viso non risponde alla ventraia,
Faceva lui tener le labbra aperte, 55
     Come l’etico fa, che per la sete
     L’un verso il mento e l’altro in su riverte.
voi, che senza alcuna pena siete


  1. V. 42. I sei codici bolognesi hanno col Witte e il Cortonose che là.
  2. V. 48. La comune ha rivolsilo; ma tener l’occhio è forse generica per guardare; rivolgerlo continua è vero la fIrase, ma scema la forza. Accetto la lezione del Cortonese che la ingrandisce.




solo nel tuo giardino ch’io verrò a te. Venne quel die; allora quella Mirra trasvestita e secretamente andò al giardino del padre; elli credette ch’ella fosse l’amanzia sua, stette con essa carnalmente più fiate, indi discoverse l’aguato. Irato lo padre contro essa, per volerla uccidere colla spada tratta le corre drieto; questa fuggendo, in acqua si getto e notò oltra. Alli Dèi prese pietà e convertironla in quella arbore, che ha nome mirra. Or l’anima della detta per la predetta trasformazione mette l’autore nella detta bolgia, e mettela essere furia, si come appare nel testo.

V. 40. Questa a peccar con esso così venne. Cioè Mirra.

42. Cioè Zanni Schicchi.

43. Cioè la giumenta.

49. Questo fu un mastro Adamo monetiero, il quale a petizione dei conti di Salentino in un suo castello che ha nome Romena, falsificò li fiorini facendoli pure di XXI caratti, e in apparcnzia pareano così buoni come li giusti. Era idropico, come appare nel testo; la quale malìtia nasce di mala digestione si che li umori indigesti che si spandono, enfiano cosi le carni e le buccie. E questo pone l’autore per allegoria, che si come il soperchio di XXI caratti fino alla finezza del giusto fiorino è metallo infermo e mal digesto, così in parte di questi appare umore mal digesto e infermo.