Pagina:Commedia - Inferno (Lana).djvu/507

Da Wikisource.

INFERNO. — Canto XXXIII. Verso 83 a 100 503


     E facciali siepe ad Arno in su la foce,
     Sì ch’egli annieghi in te ogni persona.
Che se il conte Ugolino aveva voce 85
     D’aver tradita te delle castella,
     Non dovei tu i fìgliuoi porre a tal croce.
Inuocenti facea l’età novella,
     Novella Tebe, Uguccione e il Brigata,
     E gli altri duo che il canto suso appella. 90
Noi passam’oltre, là ve la gelata
     Ruvidamente un’altra gente fascia,
     Non volta in giù, ma tutta riversata.
Lo pianto stesso lì pianger non lascia,
     E il duol, che trova in su gli occhi rintoppo, 95
     Si volve in entro a far crescer 1’ambascia:
Che le lacrime prime fanno groppo,
     E, sì come visiere di cristallo,
     Riempion sotto il ciglio tutto il coppo.
Ed avvegna che, sì come d’un callo, 100
     Per la freddura ciascun sentimento
     Cessato avesse del mio viso stallo,
Già mi parca sentire alquanto vento;
     Perch’i’: Maestro mio, questo chi muove?
     Non è quaggiuso ogni vapore spento? 105
Ond’egli a me: Avaccio sarai, dove




ceno morire li figliuoli del ditto conte innocenti a tal strazio, li quali furono li due sopradetti, cioè Anselmuccio e Gaddo, e poi li altri due Uguccione e il Brigata,

V. 89. Assomiglia Pisa alla città di Tebe, la quale nel tempo de’ poeti ebbe tra dalli suoi cittadini e altri di fuori molte percussioni. 91. Qui tocca la condizione e pena del terzo modo di traditori, li quali elli mette roversi nella ghiaccia. E metteli così disposti che per la freddura, che è in quel luogo, le prime lacrime, ch’elli gettano, si agghiacciono sugli occhi, le seconde e le terze che vegnono, non potendo uscire fuori per lo sopradetto ghiaccio, ritornano indrieto e accrescono loro pena, e così com’ elli infinitamante gittano lacrime, così continuo stanno in quella pena pessima.

100. Qui lascia la novella de’ ditti peccatori, e recita, anziché ritorni al ditto conte, d’uno accidente che elli sentì, che avegnachè per li vapori minuti e grossi elli avesse tutto il viso tinto e unto quasi a modo di callo, che non sente nè caldo nè freddo, nè umido nè secco, pur elli sente alcun vento darli per la faccia.

106. Qui sentendo il ditto vento maravigliossi Dante, con ciò sia cosa ch’elli era nel centro del mondo, nel qual luogo non potea d’altro luogo descendere vapori e lì rarefarsi e generar vento, sì