Pagina:Commedia - Inferno (Tommaseo).djvu/415

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CANTO XXIV. 279 Direste che tra questo e il prece- dente Canto corresse un lungo inter- vallo, non ricco d'ispirazione al Poe- ta ; ossivvero che troppo presto dal componimento dell' uno e' corresse all'altro, forse troppo assicurato dalla felice riuscita di quello : giacché la sicurtà soverchia nuoce quanto alla virtù tanto all'arte. Le lunghe simi- litudini, troppo erudite, della brina «della Fenice, la troppo erudita de- scrizione di quelle razze di serpi ; il salire, e i conforti di Virgilio, dov'è meno parsimonia del solito; l'ac- cenno alquanto rettorico alla Balta- glia di Campo Piceno (dove non semi la semplicità di quell’altro: il gran- de scempio Che fece VArbia colorafa in rosso); le amare infernali parole contro Pistoia , ancora più feroce- mente rincalzate nel Canto seguente; sono per verità compensate in parte da bellezze parecchie : tra le quali notiamo il grido oscuro che s' alza dal fondo della vallea serpentifera, e il risentirsi dell'epilettico che in- torno simira... e guardando sospira.