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XXXVIII AMORE DI DANTE.

della procellosa mia vita. » Poteva egli ancora con Gian Jacopo stesso ripetere: « Quanto m'è caro ritornare di tempo in tempo a' bei momenti della mia giovinezza! Erano pur dolci, e durarono pure brevi, e venivano sì rari, e sì poco mi costava il gioire! Ah la sola memoria mi rinfonde nell'anima una voluttà pura, necessaria troppo a ravvivare il mio stanco coraggio, e a vincere il tedio de' miei dolorosi anni. »

Dante, per certo, non ha voluto svelarci tutte intere le pure gioie dell'amor suo: non le notturne ore passate nel contemplare dalla sua le finestre della vicina casa di Beatrice (chè gli Allighieri stavano in Porta San Piero, e i Portinari presso al canto de' Pazzi, e i Portinari e gli Allighieri erano del popolo di Santa Margherita); non l'allegrezza delle civili solennità festeggiate nella patria comune; non le preghiere da entrambi forse alla medesima ora innalzate a Dio nel suo bel San Giovanni ; non le prolungate speranze; non l'imaginato e forse vero ricambio che ella rendeva al suo timido affetto. Ma quel tanto ch'egli ne dice, già basta a farci conoscere, lui essere stato ben più contento in quell'amore che finì in un saluto, che non altri in quelli i quali da più forte cosa che da un saluto incominciano.

Moriva Beatrice nell'età d'anni ventiquattro, nell'anno 1290, venticinquesimo della vita di Dante: moriva lasciandogli in retaggio un affetto immortale, un tesoro di memorie senza rimorsi, un'imagine che doveva di luce serena irradiare i versi di lui, e con la sua gentilezza accrescere potenza a quel gagliardo intelletto. Oh venne pure opportuna alla gloria d'entrambi, e forse alla loro innocenza, la morte! Tempo era che Dante ad altro che ad amorose contemplazioni indirizzasse l'ingegno, e per altro apprendesse a palpitare che per bellezza di donna. La patria lo chiamava, la patria, e la religione, e il diritto, e la natura, e quanti mai possono amori capire in cuor d'uomo. Se Beatrice viveva, noi non avremmo nè la Commedia quale abbiamo ora, nè la Vita Nuova stessa; avremmo un precursor del Petrarca, un Petrarca più guerriero, più uomo. Occupato dall'amore, non avrebbe forse Dante ambito le cure della discorde repubblica, non forse sofferta la dignità dell'esilio; bella non sarebbe del nome e dell'esempio suo la sventura. Di grandi arcani è ministra la morte! Ella è che insegna ai felici il dolore, ai prepotenti la paura, agli scellerati il rimorso, ai pii la speranza: ell'è che santifica chi va, e nobilita chi resta; e fa, più della viva persona, o terribile o amabile un nome. La morte è il gran pernio così degli umani destini come delle umane virtù: la morte è il