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AMORE DI DANTE. XXXIX

germe che si nasconde e poi sorge da terra; la morte è il fiore che allega in frutto; la morte è l'Angelo dell'Onnipotente; la morte è il quotidiano miracolo della creazione. Adorate la morte.

Tempo era che l'anima di Dante, dopo avere dall'amore di donna quasi da notturna rugiada, bevuta freschezza, s'aprisse rigogliosa al vivo sole del vero. Già troppo sdolcinate saranno a voi parse alcune di quelle sue parole amorose, e troppo devota quella maraviglia, e troppo teologico quel dolore. Io credo al Boccaccio, il quale attesta che egli « di questo libretto, composto nel ventesimo sesto anno, negli anni più maturi si vergognasse molto. » Non già che si vergognasse di quella schietta eleganza e di quelle imaginazioni leggiadre, ma del peso dato a cose cui non iscusa l'estasi dell'amore. Altri cita in contrario la menzione che della Vita Nuova si fa nel Convito, dove le cose in quel volumetto esposte conferma. Ma il Convito stesso fu scritto poco innanzi o poco dopo il quarantesimo anno; e poteva ben Dante nell'ultima età vergognarsi di certe sottigliezze peripatetiche ben più che platoniche. E già l'amore stesso giovanile era sì alto in lui, che maggiori cose chiedeva di quelle. Apparve, dic'egli, apparve a me una mirabile visione, nella quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dir più di quella benedetta insino a tanto ch'io non potessi più degnamente trattare di lei; e di venire a ciò, studio quanto posso, siccom'ella sa veramente.»

Il Gesuita Venturi crede che Beatrice l'amasse, e la chiama civettina tutta smorfie, e ride i parossismi dell'amore di Dante e le sue languidezze, e con semplicità maliziosetta conclude: « Io di questi loro delirii non me ne intendo. » Sempre venerabile una creatura umana che piange, per qualunque cagione ella pianga: e tale era l'indole di quell'anima, tale la natura di quel secolo, che le gioie stesse prendevano qualità di dolore.

Ma intanto che Dante piangeva d'amore, l'Italia piangeva di rancore e di rabbia; e l'anno che l'amor suo cominciò, il 1274, fu, non meno degli altri, anno di sventure all'Italia. Nel mese appunto di maggio, quando lo spirito della vita prese a tremare ne' polsi di Dante fanciullo, e un Dio più forte a signoreggiarlo, in quel mese la maledetta discordia signoreggiava una delle più fiorenti tra le città italiane, Bologna; e i guelfi Geremei s'azzuffavano co' ghibellini Lambertazzi; e più giorni durava la strage, l'incendio più giorni. Accorrono, de' Guelfi, Parma, Cremona, e Modena e Reggio, e giungono sino al Reno; ma, dalla nuova concordia della città fatto inutile il soccorso, ritornano. Breve e infida concordia: perchè nuova rabbia li azzuffa, e a sostegno de' Geremei accorrono di nuovo da Parma,