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quine: E come per lo natural ec.; nella quarta parte finge come Beatrice l’ammonisce ch’elli dimandi quella beata anima, e com’elli dimanda, et incominciasi quine: Ma quella ond’io aspetto ec.; nella quinta parte finge come quella beata anima addimandata rispuose al suo dimando che prima avea fatto, et incominciasi quine: Tu ài l’udir mortal ec.: nella sesta parte finge l’autore come per la risposta fattali al primo dimando li venne un altro dubbio, e come ne dimandò quello beato spirito che era venuto, et incominciasi quine. Io veggio ben ec. Divisa adunqua la lezione, ora ò da vedere lo testo coll’esposizioni letterali, allegoriche e morali.
C. XXI — v. 1-18. In questi sei ternari lo nostro autore finge come si trovò sallito dal sesto pianeto al vii; cioè da Iove a Saturno, e come elli ragguardò Beatrice; e dice come la vidde fatta quine, e quello ch’ella disse a lui, dicendo: Già eran li occhi miei; cioè di me Dante, refissi; cioè rifermati, al volto De la mia donna; cioè di Beatrice che era mia guida per lo cielo, come Virgilio fu per lo inferno e purgatorio: imperò che l’autore in questa cantica seguita la santa Scrittura nelle sentenzie, benchè ci mescoli, sua poesi; e però dice che, partito dell’una materia, non volse incominciare l’altra che innanzi non ragguardasse quello che voleva della materia, che aveva a trattare, la santa Scrittura; e però dice che li occhi suoi, cioè la ragione e lo intelletto suo, s’erano fermati al volto; cioè a la voluntà di Beatrice innanti che volesse andare più oltra: e non solamente li occhi; ma ancora la intenzione che io aveva della materia, e però dice: e l’animo; cioè mio di me Dante, con essi; cioè insieme coi miei occhi, Da ogni altro intento; cioè da ogni altra intenzione, s’era tolto; cioè s’era levato e dato a la materia che dovea seguitare. E quella; cioè Beatrice, non ridea: imperò che in questo pianeto, come si dirà di sotto, si rappresentano li beati spiriti che sono stati contemplativi, e non attivi, sicchè Beatrice, cioè la santa Scrittura, ve tratta d’essi, non li mostra ridenti; ma sobri, modesti nelli atti, e tutti tratti in alto co la mente a Dio in estasi, ma: S’io ridessi; cioè se io Beatrice ridessi, Mi cominciò; cioè a dire a me Dante, tu ti faresti; cioè diventresti tale, quale Fu Semele, quando di cener fessi; cioè quando Semele arse e diventò cenere; quasi dica: Tu arderesti d’amore. La fizione di Semele fu detta ne la prima cantica nel canto xxx, cioè: Nel tempo che Giunone ec. Per questo dà ad intendere che, come Semele arse venendo a lei Iove nell’essenzia sua, com’ella dimandò; così arderesti tu, Dante, se io ti mostrasse lo riso e l’allegrezza che ànno l’anime contemplative, quando contemplano Iddio, quando Iddio mostra loro la sua carità 1, et
- ↑ C. M. la carità che egli ebbe all’umana natura e quando infunde