49Io era come quei che si risente
Di vision oblita, e che s’ingegna
Indarno di ridurlasi a la mente,
52Quand’ io udi’ questa proferta degna
Di tanto grado, che mai non si stingue
Del libro che ’l preterito rassegna.1
55Se mo sonasser tutte quelle lingue,
Che Polinnia co le suore fero
Del latte lor dolcissimo più pingue,
58Per aiutarmi, al millesmo del vero
Non si verrea, cantando il santo riso,2
E quanto il santo aspetto il facea mero.3
61E così, figurando ’l Paradiso,
Convien saltare il sacrato poema,
Come chi truova suo cammin reciso.
64Ma chi pensasse ’l ponderoso tema,
E l’ umero mortal che se ne carca,4
Nol biasmerebbe, se sott’esso trema.
67Non è paleggio da picciola barca
Quel, che fendendo va l’ ardita prora,
Nè da nocchier ch’ a sè medesmo parca
70Perchè la faccia mia sì t’innamora,5
Che tu non ti rivolgi al bel giardino,
Che sotto i raggi di Cristo s’infiora?
73Quivi è la rosa, in che il Verbo Divino
Carne si fece; quivi son li gilli,
Al cui odor s’aperse ’l buon cammino.6
76Così Beatrice; et io, ch’ a’ suoi consilli
Tutto era pronto, ancora mi rendei
A la battallia dei debili cilli.
- ↑ v. 54. C. A. ti segna.
- ↑ v. 59. C. A. verria,
- ↑ v. 60. C. A. aspetto facea
- ↑ v. 65. C. A. l’ omero
- ↑ v. 70. C. A. tua sì
- ↑ v. 75. C. A. si prese il