Pagina:Commedia - Paradiso (Buti).djvu/708

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     696 p a r a d i s o   x x v i . [v. 67-78]

quine: E cominciai: O pomo, ec.; nella quarta parte finge come Adam li parla, e diceli ch’elli vede la voluntà sua, e diceli che è quello che Dante vuole sapere da lui, et incominciasi quine: Indi spirò ec.; nella quinta parte lo nostro autore finge come Adam incominciò a solvere li suoi dubbi e terminolli tutti, et incominciasi quine: Or, figliuol mio ec.; nella sesta et ultima finge come fu chiamato lo sommo bene prima in terra, et incominciasi quine: Pria ch’io scendesse ec. Divisa la lezione, ora è da vedere lo testo co l’esposizioni letterali, allegoriche e morali.

C. XXVI — v. 67-78. In questi quattro ternari lo nostro autore finge come la corte del cielo, finito lo suo parlare, sonò un canto dolcissimo; e come li ritornò la vista più perspicace che prima, dicendo così: Siccom’io; cioè altresì tosto come io Dante, tacqui; cioè finitti lo mio sermone, un dolcissimo canto Risonò per lo Cielo; cioè s’uditte per tutto lo cielo, perchè tutti li santi cantòno la loda d’Iddio, ringraziandolo de la buona intenzione, che Dante aveva ne la virtù della carità, dicendo così: e la mia donna; cioè Beatrice, Dicea con li altri; cioè santi, che cantavano: Santo, Santo, Santo. Finge l’autore che in cielo si cantasse: Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus sabaoth ec., e finge che ’l cantasse Beatrice insieme con li altri: imperò che la Chiesa militante canta al divino officio della messa che li santi Angeli e tutti li beati cantano sì fatto cantico a Dio. E come; ecco che fa una similitudine, dicendo come l’omo si sveglia, quando lo lume acuto percuote nelli occhi, e però, a lume acuto; cioè ad uno grande lume, si dissonna; cioè si sveglia l’omo che dorme, Per lo spirto visivo; cioè per la virtù visiva, che è naturalmente nelli occhi, che; cioè 1 la quale virtù, ricorre A lo splendor; cioè della luce, che è mezzo per lo quale l’occhio vede, che; cioè lo quale splendore, va; cioè entra ne la luce dell’occhio, che si chiama pupilla, di gonna in gonna; cioè di tonica in tonica: diceno li Naturali che l’occhio è composto di più sode toniche come foglie, et in mezzo di quelle, sì come nel centro, è un umore in che sta la virtù visiva tra foglia e foglia, sicchè lo splendore venuto a la prima tonica passa quella e poi va a l’altra, e poi a l’altra infine che viene a l’ultima, e quine si moltiplica, E lo svegliato; cioè l’omo, che è subitamente svegliato, ciò che vede aborre; cioè teme e non può soffrire 2 di tenere l’occhio aperto, anco l’apre e chiude e strefinalo co la mano, infin che s’ausa a la luce, Sì nescia; cioè per sì fatto modo non saputa, è la sua subita vigilia; cioè lo subito svegliamento, Fin che l’estimativa; cioè infine a tanto che la virtù estimativa, non soccorre: cioè all’occhio, che fa deliberare

  1. C. M. cioè lo quale spirito visivo, ricorre
  2. C. M. sofferire di vedere e non può tenere