Pagina:Commedia - Paradiso (Imola).djvu/263

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canto

XIII. 2I3

il mondo lo aveva in idea fino ah eterno. Platone in proposito aveva un’ opinione riprovata da Aristotile, favorita da sant’Agostino. che quella viva luce che si unea dal suo lucente imperocchè il divin Verbo che procede dall’ Eterno Padre che non si disuna da lui che non cessa di essere una cosa con lui ne da lamor che a br sintrea nè dal Santo Spirito che si fa tre o s’interza con loro il suo ragiare aduna, questo divin Verbo per puro effetto di stia bontà per sua bontate non necessitato concentra i suoi raggi quasi specchiato in nove substantie quasi rappresentati in uno specchio nei nove cieli, ossia nelle nove intelligenze motrici eternalmente rimanendosi una rimanendo la luce sempre una ed indivisa. Quindi discende a 1 ultime potenze gia d aclo in acto tanto divenendo che piu non fa che brevi contingenze da queste intelligenze il raggiare della vera luce discende agli elementi di giro in giro, divenendo di tanta poca attività, che non produce più che brevi contingenze, cioè esseri corruttibili e di breve durata: e intendo essere queste conlingenlie le cose generate che produce I cielo movendo con seme e senza seme e le contingenze intendo che siano le cose inferiori generate con seme o senza, per influsso di cielo, la cera di costoro o chi la duce non sta d un modo la materia onde si compongono le cose generate, e la mano che br dà la forma non sono sempre dun modo, ossia non producono sempre i medesimi effetti, perché le dette cose sono alcune più prossime, altre più lontane e pero sotto I segno ideale poi piu e men traluce e perciò le cose generate, segnate dal raggiare della divina idea, più o meno tra lucono od appariscono perfette; ond ci aven che un medesmo ligno secondo specie meglio e pegio fructa quindi vediamo che un albero, quantunque della stessa specie, ora meglio, ora peggio produce frutti