Pagina:Commedia - Paradiso (Imola).djvu/273

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canto

XIV.

E come giga e arpe, in tempra tesa Di molte corde fan dolce tintinno A tal da cui la nota non è intesa; !‘20 Così dai lumi che lì m’apparinno S’ accogliea per la Croce una melode, Che mi rapiva senza intender 1’ inno. l’23 Ben m’accorsi io ch’ella era d’alte lode, Però che a me venia: risurgi e vinci, Com’a colui che flOfl intende e ode. 116 lo m’ innamorava tanto quinci, Che in fino a lì non fu alcuna cosa, Che mi legasse con sì dolci vinci. 1’20 Forse la mia parola par troppo osa, Posponendo il piacer degli occhi belli, Nei quai mirando mio disio ha posa. Ma chi s’avvede che i vivi suggelli D’ogni bellezza più fanno più suso, E ch’io non m’era lì rivolto a quelli, Escusar puommi di quel ch’io m’accuso Per iscusarmi, e vedermi dir vero; Chè il piacer santo non è qui dischiuso, Perché si fa, montando, più sincero. COMMENTO DI BENVENUTO Il canto si divide in quattro parti. Nella prima, Beatrice espone una ricerca. Nella seconda, si mette avanti Salomone. Nella terza, il Poeta è traslato con Beatrice al quinto cielo di Martc. Nella quarta, Dante descrive le anime che in detto cielo si trovano. Se un vaso pieno d’ acqua si percuota al di fuori, l’acqua contenuta si commove dalla circonferenza al centro, e quando