Pagina:Commedia - Paradiso (Imola).djvu/285

Da Wikisource.

canto

XV. 2Th

Da quel ch’è primo, così come raia Dall’un, se si conosce, il cinque e il sei: E però chi io mi sia, e perch’io paia Più gaudioso a te, non mi dimandi, Che alcun altro in questa turba gaia. 60 Tu credi il vero; che i minori e i grandi Di questa vita miran nello speglio, In che, prima che pensi, il pensier pandi. 63 Ma perché il sacro amore, in che io veglio Con perpetua vista, e che mi asseta Di dolce desiar, s’adempia meglio, 66 La voce tua sicura, balda e lieta Suoni la volontà, suoni il desio, A che la mia risposta è già decreta. 69 lo mi volsi a Beatrice; e quella udio Pria ch’io parlassi, ed arrisemi un cenno, Che fece crescer l’ale al voler mio; 7 Poi cominciai così: l’affetto e il senno, Come la prima egualità v’ apparse, D’un peso per ciascun di voi si fenno, Però che al Sol, che v’ allumò e arse Col caldo e con la luce, en sì iguali, Che tutte simiglianze sono scarse. 78 Ma voglia e argomento nei mortali, Per la cagion che a voi è manifesta, Diversamente son pennuti in ali. 81 Onde io che son mortal, mi sento in questa Disagguaglianza, e però non ringrazio, Se non col core alla paterna festa. 84 Ben supplico io a te, vivo topazio, Che questa gioia preziosa inginmi,