Pagina:Commedia - Paradiso (Imola).djvu/339

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CANTo XVIII. Tanto giocoiìde, che la sua sembianza Vinceva gli altri, e l’ultimo solere. E conie, per sentir più diletianza, Bene operando l’uorn di giorno in giorno 5’ accorge che la sua virtute avanza; 60 Sì m’accorsi io, che il mio girare intorno Col Cielo insieme avea cresciuto l’arco, Veggendo quel miracolo più adorno. (i3 E quale è il trasmutare in piccol varco Di tempo in bianca donna, quando il volto Suo si discarchi di vergogna il carco; 66 Tal fu negli occhi miei, quando fui volto, Per lo candor della temprata stella Sesta, che dentro a sè m’avea raccolto. 69 lo vidi in quella Giovial facella Lo sfavillar dell’amor che lì era, Segnare agli occhi miei nostra favella. 72 E come augelli surti di riviera, Quasi congratulando a br pasture, Fanno di sè or tonda, or lunga schiera; Th Sì dentro ai lumi sante creature Volitando cantavano, e faciensi Or D, or I, or L, in sue figure. 78 Prima cantando a sua nota moviensi: Poi, diventando l’un di questi segni, Un poco s’arrestavano e taciensi. 81 O diva Pegasèa, che gl’ ingegni Fai gloriosi, e rendili longevi, Ed essi teco le cittadi e i regni, Illustrami dite, sì ch’ io rilevi Le br figure COIfl’ÌO l’ho concetto: