Pagina:Commedia - Paradiso (Imola).djvu/446

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paradiso

Ma poi che il gratular si fu assolto, Tacito incontro a me cIascun s’affisse Ignito sì, che vinceva il mio volto. Ridendo allora Beatrice disse: Inclita vita, per cui la larghezza Della nostra Basilica si scrisse, 50 Fa risonar la speme in questa altezza: Tu sai che tante volte la liguri, Quante Gesù ai tre fe’pitì chiarezza. Leva la testa, e fa che t’ assicuri, Clic ciò che vien quassù dal mortal mondo, Convien che ai nostri raggi si maturi. Questo conforto del fuoco secondo Mi venne; onde io levai gli occhi ai monti, Che gli incurvaron pria col troppo pondo. Poi che per grazia vuoi che tu t’ affronti Lo nostro Imperadore, anzi la morte, Nell’aula piiì segreta Co’ suoi Conti, Sì che, veduto il ver di questa Corte, La Speme, che laggiù bene innamora, In te e in altrui di ciò conforte; Di’quel ch’ella è, e come se ne infiora La mente tua, e di’ onde a te venne: Così segulo ‘1 secondo lume ancora. E quella pia, che guidò le penne Delle mie ali a così alto volo, Alla risposta così mi prevenne: La Chiesa militante alcun figliuolo Non ha con più speranza, come è scritto Nel Sol che raggia tutto nostro stuolo. Però gli è conceduto, che di Egitto - . DiiGoogIeJ