Pagina:Commedia - Paradiso (Imola).djvu/462

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paradiso

Per la propria virtù che la sublima, 87 Feci io intanto in quanto ella diceva, Stupendo, e poi mi rifece sicuro Un disio di parlare onde io ardeva; 90 E cominciai: o pomo, che maturo Solo prodotto fosti, o Padre antico, A cui ciascuna sposa è fila e nuro; 93 Devoto quanto posso a te supplico, Perché mi parli: tu vedi mia voglia; E, per udirti tosto, non la dico. 96 Tal volta un animaI coperto broglia, Sì, che 1’ affetto convien che si paia, Per lo seguir che face a lui la invoglia: 99 E similmente I’ anima primaia Mi facea trasparer per la coperta Quanto ella a compiacermi venia gaia. 102 lndi spirò: senza essermi profferta Da te la voglia tua, discerno meglio Che tu qualunque cosa t’è più certa; 105 Perch’ io la veggio nel verace speglio, Che fa di sè pareglie l’altre cose, E nulla face lui di sè pareglio. 108 Tu vuoi udir quanto è che Dio mi pose Nell’ eccelso giardino, ove costei A così lunga scala ti dispose; 111 E quanto fu diletto agli occhi miei, E la propria cagion del gran disdegno E i’ idioma ch’ io usai e fei. I li Or, figliuol mio, non il gustar del legno Fu per sè la cagion di tanto esilio, Ma solamente il trapassar del segno. I 17 DitizedbyGOOgIe