Pagina:Commedia - Paradiso (Imola).djvu/505

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canto

XXIX.

L’arnor dell’ apparenza e il suo pensiero. 87 E ancor questo quassù si comporta Con men disdegno, che quando è posposta La divina Scrittura, e quando è torta. 90 Non vi si pensa quanto sangue costa Seminarla nel mondo, e quanto piace Chi umilmente con essa si accosta. 93 Per apparer ciascun s’ingegiia, e face Sue invenzioni, e quelle son trascorse Dai predicanti, e il Vangelio si tace. Un dice, che la Luna si ritorse Nella passion di Cristo, e s’interpose, Perchè il lume del Sol giiì non si porse; 99 E altri, clic la luce si nascose Da sè: però agI’ ispani e agi’ Indi, Come ai Giudei, tale eclissi rispose. 10 Non ha Firenze tanti Lapi e Bindi, Quante sì fatte favole per anno In pergamo si gridan quinci e quindi; 10$ Sì che le pecorelle, che non sanno, Tornan dal pasco pasciute di vento, E non le scusa non veder br danno. 108 Non disse Cristo al suo primo convento: Andate, e predicate ai mondo ciance, Ma diede br verace fondamento. i 11 E quel tanto sonò nelle sue guance; Sì che a pugnar, per accender la Fede, Dell’Evangelio fero scudi e lance. I 14 Ora si va con motti e con iscede, A predicare, e pur che ben si rida, Gonfia il cappuccio, e piè non si richiede. 117