Pagina:Commedia - Paradiso (Imola).djvu/522

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paradiso

La vista mia nell’ampio e nell’ altezza Non si smarriva, ma tutto prendeva Il quanto e il quale di quella allegrezza. 120 Presso e lontano lì nè pon, nè leva; Chè, dove Dio senza mezzo governa, La legge natural nulla rileva. 125 Nel giallo della rosa sempiterna, Che si dilata, rigrada e redole Odor di lode al Sol che sempre verna, 126 Quale è colui che tace e dicer vuole, Mi trasse Beatrice, e disse: mira Quanto è il convento delle bianche stole! 129 Vedi nostra città quanto ella gira! Vedi li nostri scanni sì ripieni, Che poca gente ornai ci si desira. 152 In quel gran seggio, a che tu gli occhi tieni Per la corona che già v’è su posta, Prima che tu a queste nozze ceni, 15 Sederà I’ al ma, che ha giù Augosta, Dell’alto Arrigo, che a drizzare Italia Verrà in prima ch’ella sia disposta. 15$ La cieca cupidigia, che v’ ammalia, Simili fatti vi ha al fantolino, Che muor di fame e caccia via la balia: 141 E ha Prefetto nel foro divino Allora tal, che palese e coperto Non anderà con lui per un cammino. 144 Ma poco poi sarà da Dio sofferto. Nel santo uficio; ch’ei sarà detruso Là dove Simon mago è per suo merLo, E farà quel d’Alagna esser più giuso. 148