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[v. 73-81] | c o m m e n t o | 259 |
desi in sette parti, perchè prima finge come elli si chinò per vedere uno e ricognovelo; e dimandolo 1 s’elli era quel che credea; ne la seconda finge come colui li risponde molto umiliato, quive: Frate, diss’ello ec.; ne la tersa fìnge come colui, intrato nel parlare de la vanagloria, dice cose molto notabili contra essa, quive: O vanagloria de l’umane posse ec.; ne la quarta finge che ancora lo sopra ditto continui suo parlare, esemplificando e confermando le suoe sentenzie, quive: Che voce avrai ec.; ne la quinta finge com’elli dimanda a colui, che à parlato in fine a qui, chi è colui che li va inanti, e colui risponde e manifestalo, quive: Et io a lui ec.; ne la sesta finge com’elli dimanda ancora colui d’uno dubbio, quive: Et io: Se quello ec.; ne la settima fìnge che colui che àe parlato in fine 2 li solve lo dubbio, quive: Quando vivea ec. Divisa adunqua la lezione, ora è da vedere lo testo co la esponizione allegorica, o vero morale.
C. XI— 73-81. In questi tre ternari lo nostro autore finge come elli chinato cognove uno, et elli similmente lui; e parlonno molto insieme infine a la fine del canto. Dice così: Ascoltando; cioè colui che parlava prima, io; cioè Dante, chinai in giù la faccia; Et un di lor; cioè di quelli che andavano caricati, (non questi che parlava; cioè non colui che prima avea risposto a la dimanda di Virgilio; cioè Omberto conte di Santafiore) Si torse sotto ’l peso che lo impaccia; sicchè non potea alsare la testa. E viddemi; cioè me Dante, e cognovemi, e chiamava; cioè me, Tenendo li occhi con fatica fisi A me; cioè a me Dante, che tutto chin; cioè chinato, con lui andava; per poterli parlare et intenderlo. O, dissi lui; cioè a lui io Dante, or non se’ tu Oderisi; ecco che Dante finge d’averlo cognosciuto e nominalo. Questo 3 Odorisi fu d’Agobbio e fu buono miniatore di pennello, sicché al tempo suo non era niuno sì buono; e di questo prese tanta vanagloria, che l’autore finge che per questo stesse in purgatorio ne la prima cornice, dove si purgano li superbi e similmente li vanagloriosi: imperò che la vanagloria è filliuola de la superbia; e però dice: l’onor d’Agobbio; et in questo si dimostra che in Agobbio non sia stato persona di valore famosa, se non costui, nel miniare, poi che l’autore dice che costui è stato l’onore d’Agobbio, e l’onor di quell’arte; cioè del miniare, Che alluminar è chiamata in Parisi? Cioè in Parigi città reale del re di Francia lo miniare si chiama alluminare.
C. XI — v. 82-90. In questi tre ternari lo nostro autore finge come Odorisi risponde a le parole sue, dimostrandosi già esser cor-