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parte l’omo da la pace e da la temperansa; e però finge l’autore che l’anime vadano per questo fummo, o vero nebbia, ripensando la loro ciechità e turbulenzia che ebbeno ne la vita, e dolliansi debitamente d’averla avuta e desiderino di venire a tranquillità di mente e pace vera. E così finge l’autore che vi passasse, elli guidato da Virgilio; cioè da la ragione, per significare che a quel modo si purgasse del peccato dell’ira; unde Persio satiro ne la tersa satira dice: Magne pater Divum, saevos punire Tyrannos Haud alla ratione velis, cum dira libido1 Moverit ingenium ferventi tincta veneno: Virtutem videant, intabescantque relicta. E se lo lettore movesse qui dubbio, perchè l’autore ne lo inferno finge altre pene ai peccati che nel purgatorio; e perchè distingue li peccati in più specie che non fa qui, come appare de la superbia e de la invidia che ne tratta dentro a la città di Dite in più specie, come ditto è ne la esponizione di quella, puòsi rispondere che altra pena si richiede a la punizione et altra a la purgazione: imperò che la punizione si fa con acerbità, e la purgazione con clemenzia; unde Boezio nel libro iv
de la Filosofica Consolazione dice: Nulla ne animarum supplicia post defunctum corpus relinquis? Et magna quidem. Quorum alla pœnali acerbitate, alia vero purgatoria clementia exerceri puto. E però a la punizione si richiedeno diverse pene ai peccati, secondo le loro specie, per sodisfare a la iustizia di Dio, che dirittamente punisce dando, secondo la gravità del peccato, la gravità de la pena. A la purgazione una pena è sofficente a tutte le specie del peccato, per sodisfare a la misericordia di Dio che tutte le pene arreca a quella, sensa la quale non si può purgare lo peccato; e questa è lo ricognoscimento del peccato che induca contrizione, e lo ricognoscimento de la virtù contraria che induca amore di quella; unde disse Cristo ne l’Evangelio: Nolo mortem peccatoris; sed ut convertatur et vivat. E però al superbo vasta che ricognosca quanto fallo fu lo suo inalzarsi sopra lo prossimo suo o contra Iddio, lo più che à potuto, e di questo si dollia et adumilisi quanto può; la quale cosa2 significa lo peso che àe finto che portasseno addosso li superbi, e ciascuno dicesse: Più non posso; e lo invidioso, cuciti li occhi col filo di ferro, pianga lo suo errore e non vollia vedere li beni mondani che lo movevano ad invidia per freddezza di carità; e l’iracundo ricognosca la sua turbazione de la mente, ripensandola e dolendosene, ritornando a la tranquillità. E questo vasta in qualunque specie dei ditti peccati, che l’omo abbia peccato; cioè ut convertatur a via mala et ab errore; cioè che si converta de la via ria e dall’errore e viva virtuosamente, e questa è la vera penitenzia e la vera purgazione. Seguita lo canto xvi, compiuto lo xv.
- ↑ cupido
- ↑ C. M. la quale cosa figura lo peso.