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Pagina:Commedia - Purgatorio (Buti).djvu/441

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         [v. 106-129] c o m m e n t o 431

tore finge come Virgilio dimandò quelli spiriti de la via da montare suso; e come rispuoseno, dicendo: O gente; ecco che parla Virgilio a quella gente, et incomincia lo senno nel tersio ternario; cioè: Parole furon queste del mio Duca; cioè di Virgilio dicente: O gente, in cui; cioè ne la quale, fervore acuto; cioè amore fervente, adesso; cioè ora, Ricompie forse; cioè ristora, negligenzia e indugio messo Da voi in ben far per tepidezza; cioè per negligenzia: ecco che àe manifestato la loro condizione, Questo, che vive; cioè Dante (certo; cioè certamente, io non vi bugio; cioè io Virgilio non vi dico bugia) Vuol andar su; cioè all’altro balso, purchè il Sol ne riluca; cioè pur che ’l Sol si levi, secondo la lettera, non aspetta altro: però che di notte non si può montare; ma secondo l’allegoria s’intende de la grazia di Dio illuminante, sensa la quale non si può fare niuna buona opera. Però ne dite; cioè dite a noi, onde è presso il pertugio; cioè la via da sallire suso. Et un di quelli spirti; cioè che correano, disse: Vieni Di rieto a noi; ecco la risposta che li fu renduta, e troverai la buca; cioè la via da ir suso: però che noi andiamo in verso u’ ella è; et adiunge la scusa, dicendo: Noi siam di vollia a muoverci sì pieni; cioè noi siamo sì volontarosi d’andare a purgare la nostra negligenzia, Che restar non potem; cioè non possiamo restar, però perdona; tu, che ci ài di mandato, Se villania nostra giustizia tieni; cioè se tu reputi nostra emenda, che noi facciamo per iustizia e per debito che non ci possiamo restare, esser villania.

C. XVIII — v. 118-129. In questi quattro ternari lo nostro autore finge che una di quelle anime, così correndo in fugga, li si manifestasse, dicendo: Io fui Abbate in San Zeno a Verona; questi fu uno abbate di San Zeno da Verona, ch’è ricco monastero e di grande dignità, e non abbo trovato lo nome suo: fu omo pigro e negligente in ben fare, perchè l’autore finge che purghi lo suo peccato dell’accidia in questo luogo; e trovossi abbate al tempo, che lo imperadore Federico Barbarossa assediò Melano e disfecelo et arrecòlo a borghi; e però dice: Sotto lo imperio del buon Barbarossa; ben dice buono: imperò che tra l’altre buone cose, ch’elli ebbe in sè, fu che non fu avaro di pecunia, come appare ne la prima cantica, Di cui; cioè del quale, dolente ancor Melan; perchè non era anco rifatto, ragiona: imperò che i Melanesi ànno cagione di ragionare di lui, perchè disfece la loro città; e la cagione fu questa che, venendo lo detto imperadore Federigo Barbarossa per incoronarsi a Melano, li Melanesi non volseno ricevere; unde lo detto imperadore vi puose l’assedio con aiuto de’ ghibellini di Toscana nel 1249, addi’ 18 d’Agosto et ebbelo: chè s’arrendette a lui addi’ 8 di Settembre nel ditto anno, e lo ditto di’ si coronò. E poi in quel medesimo anno si ribellò