Pagina:Commedia - Purgatorio (Buti).djvu/468

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   458 p u r g a t o r i o   x i x. [v. 139-145]

errar1; cioè onorandomi in questo mondo, come m’aresti onorato nell’altro, conservo sono Teco, e colli altri; cioè in questa vita perpetua noi siamo tutti pari, e tutti siamo conservi; cioè insieme servi, ad una podestate; cioè a la divina potenzia. Et assegna la ragione per l’autorità de l’evangelio di s. Matteo2, nel quale nel cap. xxii si contiene come Cristo, rispondendo ai Saducei che non credevano la futura resurrezione e dimandonno lui, dicendo: Maestro, la femina che à avuto vii mariti, a quale s’accosterà nell’altra vita? Ai quali Cristo rispuose: Erratis, nescientes Scripturas, neque virtutem Dei. In resurrectione omnium neque nubent, neque nubentur; sed erunt sicut angeli Dei in cœlo; cioè nell’altra vita non si mariteranno; ma sono in cielo come angiuli di Dio, sicchè tutti seremo3 equali. E così nessuno risusciterà in dignità avuta nel mondo, ne la resurrezione dicendo: Se mai quel santo evangelico sono, Che dice: Neque nubent, attendesti; del quale è ditto di sopra, Ben puoi saper perchè così ragiono; cioè ben puo’ saper tu, Dante, perchè io ti dico ch’io sono a pari a te et alli altri, di po’ la vita mondana.

C. XIX — v. 139-145. In questi due ternari et uno versetto lo nostro autore finge come lo ditto spirito li diè cummiato: e come li dimanda ch’elli lo ricordi a la nipote, dicendo: Vattene omai; cioè ingiummai tu, Dante, non vo’ che più t’arresti; cioè non vollio che stii più; et assegna la cagione; cioè Chè la tua stanza; cioè imperò che il tuo stallo4, disagia; cioè sconcia, mio pregar; ch’io farei a Dio in questo mezzo, ch’io parlo teco, Col qual; cioè pregar, maturo ciò che tu dicesti; cioè di sopra, quando dicesti: Spirto, in cui pianger matura ec. E perchè mi t’ài proferto, s’io vollio che lo tuo prego impetri di là per me nel mondo, sappi che, Nipote ò io di là; cioè nel mondo, ch’à nome Alagia, Buona da sè; questa era santa e buona donna, nipote di papa Adriano dal Fiesco, pur che la nostra casa; cioè di quelli dal Fiesco, Non faccia lei per esemplo malvagia; cioè non faccia lei diventar ria per malo esemplo ch’ella pilli dalli altri, ch’ella ne può ben pilliare: tanto vi sono riei ne le nostra casa; ecco che onestamente l’autore accusa la casa dal Fiesco. E questa; cioè Alagia, sola di là m’è rimasa; che preghi per me: imperò che niuno altro mio parente prega per me; e se pur prega, non è esaudito: imperò che Iddio non esaudisce i preghi de li iniusti, et elli sono tutti riei, in fuor che questa. E qui finisce il canto xix5, et incomincia lo xx.

  1. Non errar; non devi errare. Questa maniera ellittica dell’infinito preceduto da una particella negativa, nella vece della seconda persona dell’imperativo, ci venne tramandata dai Greci e dai Latini. V. Omero, Iliade V, v. 605, 606, Virg. Georg. iii v. 331, 335. E.
  2. C. M. s. Marco, nel quale
  3. Seremo: naturale piegatura dall’infinito sere, la quale mantiensi tutto di’ viva in alcune provincie d’Italia. E.
  4. C. M. stallo a lo tuo dimorare, disagia;
  5. C. M. xix, e seguita lo canto xx.