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Pagina:Commedia - Purgatorio (Buti).djvu/566

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   556 p u r g a t o r i o   x x i i i. [v. 49-60]

ne la voce sua; cioè di Forese, mi fu palese; cioè fu manifesto a me Dante; cioè io lo ricognovi a la voce, Ciò che l’aspetto; cioè la sua vista et apparenzia, in sè; cioè in lui, avea conquiso; cioè guasto, cioè la cognoscenzia: imperò che non potea comprendere nel volto chi elli era, e così l’aspetto suo avea guasta1 la sua cognoscenzia. Quella favella; ch’io uditti da lui, dice l’autore, ora parlando al lettore, tutta mi raccese; cioè mi invigoritte, Mia cognoscenzia; cioè la mia virtù cognitiva, a le cambiate labbia; cioè a la cambiata faccia; e pone qui l’autore la parte per lo tutto, usando lo colore che si chiama2 intellettivo, E ravvisai; cioè un’altra volta l’avvisai e raffigurai, la faccia di Forese; cioè ch’elli era stato uno ch’avea avuto nome Forese. Questo Forese fu cittadino di Fiorense3, e fu fratello di messere Corso Donati, e fu molto goloso; e però finge l’autore che l’abbia trovato qui, dove si purgano li gulosi.

C. XXIII — v. 49-60. In questi quattro ternari finge lo nostro autore come Forese l’incominciò a parlare, e pregavalo che li dicesse chi era; e l’autore dimandò lui che cagione era de la sua magressa, loro dicendo così: Deh non contender; cioè tu, Dante, a l’asciutta scabbia; cioè non stare pur a vedere la rogna asciutta ch’io abbo; ecco che finge l’autore come li golosi erano scabiosi: imperò che come ànno ben pasciuto lo corpo, per fallo4 ben grasso e luccicante; così finge che per lo dolore e per la contrizione ora sia piagato; e perchè l’abstinenzia discolora e piaga lo corpo dice, Che mi scolora la pelle; cioè la scabbia mi fa pallida e scolorita la pelle, pregava; cioè Forese Dante quil che ditto è, Nè a difetto di carne ch’io; cioè Forese, abbia; non contender tu, Dante. Ma dimmi ’l ver di te; cioè chi tu se’, e chi son quelle Du’ anime; finge l’autore che dimostrasse Virgilio e Stazio, e di loro dimandasse Forese, che là ti fanno scorta; cioè che t’aspettano colà, per scorgerti la via; potrebbe anco dir lo testo: che ’n là; cioè che in verso là. Non rimaner; tu, Dante, che tu non mi favelle; cioè non lassare che tu non mi risponda. Ora finge l’autore ch’elli rispondesse al dimando, dicendo così: La faccia tua; cioè di te Forese, ch’io lagrimai; cioè io Dante piansi, già morta; per questo mostra che Forese fusse stato suo amico quando visse, sì che a la morte lo pianse, Mi dà; cioè a me Dante, a pianger mo; cioè avale, non minor dollia; ch’io avesse allora ch’io la viddi morta: sì la veggio fatta ora, Rispuosi io; cioè Dante, lui; cioè a Forese, veggendola sì torta; cioè mutato da l’usato essere. Però mi dì, per Dio; ecco che ’l prega che ’l certifichi de la

  1. C. M. guasto la
  2. C. M. si chiama interiectio — , E ravvisai;
  3. Fiorense. Dal latino Florentia derivò Fiorenza o Firenza, e per uniformità di cadenza Fiorense, Fiorenze o Firenze, come Buemme, Danismarche per Buemma, Danismarca e simili. E. — C. M. Fiorensa,
  4. C. M. per farlo