Pagina:Commedia - Purgatorio (Buti).djvu/567

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cagione, de la quale toccò di sopra quando parlò l’autore al lettore sì come tornato; ma ora racconta al lettore lo modo che tenne, quando fu di là, in saper la cagione, che sì vi sfollia; cioè sì vi dismagra e cambia. Non mi far dir; cioè non voler ch’io dica, mentre ch’io abbo ammirazione di quello ch’io veggio, mentre io; cioè Dante, mi meravillio; di quil ch’io veggio in voi; ecco che assegna la cagione, perchè lo prega che ’l certifichi: Chè mal può dir chi è pien d’altra vollia; cioè male può certificare altrui chi à vollia d’essere certificato.

C. XXIII — v. 61-75. In questi cinque ternari lo nostro autore finge come, fatta la sua preghiera a Forese, elli lo certifica di quello che volea sapere, dicendo così: Et elli; cioè Forese, a me; Dante rispuose in questa forma: De l’eterno consillio; cioè de l’eterna providenzia et ordinazione di Dio, lo quale ordina e dispone ogni cosa secondo ragione et iustizia, Cade virtù ne l’acqua; che irriga la pianta, e ne la pianta; cioè nell’arbore del quale è ditto di sopra, e però dice: Rimasa addietro: imperò che già l’aveano passata, ond’io sì mi assottillio; cioè per la qual verità io Forese dimagro. Già è ditto di sopra che questa pianta è quella1 che assaggionno li primi parenti Adam et Eva contra lo comandamento di Dio, che si chiama l’arbore de la scienzia del bene e del male: dalla notizia del bene e del male procede l’amore del bene e l’odio del male, per lo desiderio naturale che Dio à posto ne la mente umana; e però finge l’autore che quelle anime, cognoscendo che ànno fallito seguitando l’appetito sensuale, se ne penteno e dolliansene sì che, come seguendo l’appetito diventono2 grasse, diventano ora magre, che non è altro a dire che ànno in dispregio tale appetito e non vorrebbeno averlo seguitato; ma vorrebbono avere seguitato la virtù de l’astinenzia, sicchè ora avesseno lo frutto che produce la scienzia del bene e del male; cioè beatitudine; del qual frutto sempre ànno desiderio, e questa è la loro fame. E similmente ànno sete dell’acqua che irriga questa pianta che è la grazia di Dio, la quale mantiene verde questa pianta co la sua infusione; e l’odore di questa asseta l’anima che sempre desidera di inebriarsi di quella, per opposito di quello che ànno fatto li golosi dei beni terreni nel mondo, dilettatosi di bere e di mangiare oltra misura. E però seguita: Tutta esta gente; ecco che dimostra Forese li spiriti di quil cerchio sesto, che piangendo canta; cioè la quale canta e piange insieme; questo finge, per contrapesare la pena col diletto del peccato: nel peccato de la gola àe avuto diletto l’occhio, vedendo lo cibo desiderato, e così vuole che ne porti pena piangendo; e la bocca ebbe diletto gustando, e

  1. C. M. è di quella che assagionno
  2. C. M. diventonno