capricciosamente sovrapposte. Ma Aristofane acquista presto
assai maggiore perizia. Nei Cavalieri si può ancora osservare
che il Coro si ti’ova un po’ troppo pronto, appunto come
il Lamaco degli Acarnesi alla chiamata dei due schiavi. Ma
dalle Nuvole in poi, il principio di verisimiglianza domina
costantemente tutte le altre commedie, anche quelle che, al
pari degli Acarnesi, son quasi interamente intessute di scene
tradizionali. così, per esempio, le Donne alla festa di Dèmetra
risultano d’una sequela di scene stereotipe (cfr. Prefazione),
ma legate l’una all’altra da un filo perfettamente logico. Un
paio d’esempii illustrerà la differenza di tecnica fra questo
dramma e gli Acarnesi. In ambedue è la scena della visita.
Ma nel lavoro giovanile è proprio un’appiccicatura, e la
ragione per cui Diceopoli si reca da Euripide è tirata coi
denti. L’Euripide delle Donne alla festa di Dèmetra, invece,
appare incalzato da un fato così strano, che solo una visita
ad Agatone può procacciargli salute. Ancora, Diceopoli, per
salvarsi dal furore degli Acarnesi, dà di piglio a un cesto
di carbone e minaccia di trafiggerlo; e il carattere di parodia
vale appena a mascherare la iperbolica goffaggine della scena.
Mnesiloco, invece, strappa a una donna un bambino, e minaccia d’ucciderlo; e quando lo sfascia, vede che è un otre di
vino. La scena assurge un istante a vera altezza tragica, per
poi risolversi nella più schietta comicità. Ed è, nella sua
perfetta inquadratura, una delle più felici di tutto il teatro
aristofanesco.
Consideriamo anche un po’ l’ufficio del Coro. L’inno
dei fallofori, accoppiandosi alla farsa mimica (v. Prefazione,
c. VI), tentò a mano a mano di fondersi con l’azione,
di assumere ufficio drammatico. Tale ufficio, nella seconda